Arrivi e richieste di asilo nel corso del 2021: dai dati alla riflessione
Secondo un sondaggio, realizzato da ISPI-IPSOS alla fine del 2021, su quali fossero le minacce per l’Italia, l’immigrazione si trovava solo al quarto posto: le maggiori preoccupazioni erano rappresentate, in ordine decrescente, da una possibile crisi economica, dalla pandemia globale e dai cambiamenti climatici. Il terrorismo islamico, spesso accompagnato nelle paure degli italiani all’immigrazione, era precipitato da oltre il 10% negli anni della crisi migratoria, all’1% di oggi. Sono arrivati a conclusioni analoghe anche gli autori del Nono rapporto dell’associazione Carta di Roma, analizzando la pubblicazione di notizie riguardanti stranieri e migranti da parte dei media italiani, tanto che hanno deciso di intitolare il loro lavoro Notizie ai margini. Nella presentazione del volume, Valerio Cataldi, presidente dell’associazione, riferendosi alle notizie sull’immigrazione, non più al centro dell’informazione mediatica e sostituite da quelle sulla pandemia, fa la seguente riflessione:
“Eppure, quelle notizie ci sarebbero ancora ma invece restano ai margini e suona davvero strano. Le notizie sulle migrazioni sono relegate in un angolino della comunicazione giornalistica, ma pur sempre pronte a riprendere vita quando lo pretenda il ringhio preparatorio della prossima campagna elettorale o della nomina del Capo dello Stato. Quando la propaganda li evoca diventano improvvisamente ‘decine di migliaia’.”
L’emergenza si spegne o è nascosta?
Il sociologo Ilvo Diamanti, nell’introdurre lo stesso rapporto, analizza il fenomeno da un punto di vista diverso, sostenendo che “l’immigrazione non è più un’emergenza, nella percezione dei cittadini. Sicuramente non costituisce ‘l’emergenza’ prioritaria’.” La pandemia ha sottratto ai migranti “centralità nello spettacolo della paura, che fa ascolti, sui media. Parallelamente, questo tema ha perso centralità nel dibattito politico”.
Diamanti sembra conclude il suo intervento con una nota timidamente positiva esprimendo la convinzione che il diminuito interesse da parte dei media sui temi migratori nasce, finalmente, dal fatto che la figura dell’immigrato sta divenendo normale. “Non tanto e non solo perché ci siamo abituati a loro. Perché la stessa ‘paura dell’altro’ è divenuta ‘banale’, per citare Hannah Arendt, come abbiamo fatto altre volte. Non solo perché oggi altre paure fanno più paura. Ma perché gli immigrati sono tra noi. Lavorano con noi. Vivono con noi” e conclude auspicando che questa tendenza continui e si rafforzi. “Perché la ‘buona notizia’ è questa. Che gli immigrati, oggi, ‘non fanno più notizia’. Comunque, meno notizia, rispetto a ieri”.
Le persone straniere nelle pagine di cronaca
Tuttavia, in questi anni di pandemia, i media, nonostante il ridotto interesse per stranieri e migranti, hanno proseguito a trattare il fenomeno migratorio filtrando le notizie attraverso frame o cornici interpretative precostituite: quella securitaria, innanzi tutto, utilizzata in particolare in occasione di fatti di cronaca nera, come quello recente riferito alla vicenda di Saman, la giovane pakistana probabilmente uccisa dai famigliari, che vede i migranti rappresentare un pericolo per la sicurezza e per la nostra civiltà. In altre occasioni, viene utilizzato il frame pietistico, ad esempio in occasione delle tragedie del mare che, talmente frequenti, sono considerate quasi connaturate al fenomeno migratorio; ancora, come nello scorso mese di novembre, nel descrivere la situazione drammatica vissuta dai migranti al confine tra Polonia e Bielorussa.
Oltre agli sbarchi c’è di più
Anche la lettura che i media, tranne alcune lodevoli eccezioni, fanno dei dati rilasciati dal Ministero degli Interni, su sbarchi e richieste di asilo è viziata da approssimazione e superficialità. Il Ministero pubblica quotidianamente sul proprio sito il Cruscotto statistico giornaliero che riporta i numeri delle persone sbarcate sulle coste italiane: questo canale informativo è spesso l’unico utilizzato dai media per esprimere valutazioni e commenti sui flussi di migranti verso il nostro paese. Un’analisi del fenomeno più corretta, invece, dovrebbe tenere conto, insieme ai numeri riferiti agli sbarchi, anche quelli di coloro che, entrati in Italia attraverso percorsi diversi, fanno richiesta di protezione internazionale. Anche la politica, perfino ai massimi livelli governativi, sembra convinta che il dato riferito agli sbarchi sia l’unico da considerare e invoca improbabili redistribuzioni e la solidarietà dell’Europa, senza tenere conto della realtà dei numeri delle richieste di asilo negli altri paesi. In Italia alla fine del 2021 erano state presentate 56.388 domande di asilo, mentre, secondo l’ultimo dato disponibile, riportato dalla banca dati di Eurostat, nei primi nove mesi dell’anno, le richieste erano state 131.585 in Germania e circa 98.000 in Francia.
L’esempio tunisino
La superficialità di media e politici nel trattare il fenomeno migratorio trova conferma nell’allarme, lanciato periodicamente, sul numero di cittadini tunisini sbarcati sulle coste siciliane, utilizzato per denunciare un’immigrazione fuori controllo. In realtà, nel 2020 a fronte di 12.883 cittadini del paese nord africano sbarcati, solo 1.024 avevano richiesto o potuto richiedere asilo, mentre nel 2021 le domande erano salite a 7.102 su un numero di arrivi poco superiore a quello dello scorso anno. Nello specifico dei cittadini tunisini, nonostante il diritto internazionale e le garanzie che la Costituzione riconosce ai richiedenti protezione internazionale, risulta efficace l’accordo bilaterale stipulato tra il governo italiano e quello del paese nordafricano su espulsioni e respingimenti; infatti, alla maggioranza di coloro che arrivano in Sicilia non viene data possibilità di presentare una domanda di protezione, sono trattenuti presso i Centri di permanenza per i rimpatri (CPR) e successivamente espulsi. Secondo il rapporto della Coalizione italiana libertà e diritti, dal titolo Buchi neri, più del 60% delle persone trattenute, in attesa di espulsione, nei CPR sparsi in Italia, sono tunisine e di queste oltre l’80% sono successivamente rimpatriate. Si deve aggiungere che, tra quanti riescono a presentare domanda di asilo, il 92% è oggetto di un provvedimento di diniego.
I numeri degli sbarchi
Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno durante il 2021 sono arrivati sulle coste italiane 67.040 migranti, tra cui 9.478 minori non accompagnati, quasi il doppio di quelli del 2020 (34.134) e sei volte di più che nel 2019. Come è avvenuto a partire dal 2018, la nazionalità più frequente, dichiarata al momento dello sbarco, risulta essere quella tunisina con 15.671 persone arrivate. Le provenienze dal Nord Africa, complessivamente 26.216, quasi un terzo del totale, sono completate da 8.352 cittadini egiziani e 2.193 marocchini. Anche nel caso di questi migranti vale quanto detto a proposito dei tunisini: per loro sono state minime sia la possibilità di presentare richiesta di asilo (sotto il 50%) che il tasso di accoglimento della domanda (sotto il 15%). Segue un gruppo consistente di cittadini di paesi del Medio Oriente costituito da 3.903 iraniani e 2.557 iracheni, in prevalenza di etnia curda, e 2.266 siriani. Sono in calo, come negli ultimi tre anni, le provenienze dall’Africa sub sahariana, che nel passato avevano connotato lo stereotipo del migrante “clandestino”: queste ultime si concentrano dalla Costa d’Avorio, dalla Guinea e dalla Somalia. Continua, invece, ad essere consistente la presenza di Bangladesi, quasi 8.000, che scelgono di percorrere la rotta mediterranea, sia dalla Libia che, attraverso il Mar Ionio, dai porti della Turchia. A questo proposito, come avviene anche per le provenienze via terra al confine orientale, la comunicazione dei media nazionali ha focalizzato la sua attenzione, e di conseguenza quella della opinione pubblica, sugli sbarchi che avvengono a Lampedusa, mentre ha dimostrato scarso interesse a ciò che è avvenuto lungo le coste del Salento e della Locride; infatti, le cronache della stampa locale raccontano, durante tutto il 2021, di cittadini afghani, siriani, iraniani e iracheni di etnia curda, arrivati dalla Turchia, spesso in gruppi famigliari, a bordo di vecchi Yacht a vela pilotati da trafficanti russi o ucraini.
Migrazioni economiche e protezione internazionale
Nell’ultimo anno, nonostante il perdurare della pandemia, le persone che hanno presentato domanda di protezione internazionale in Italia sono state 58.838, più del doppio di quelle dello scorso anno. La maggioranza era costituita da giovani che, a causa dell’insostenibile situazione di povertà che vive il loro paese di origine, cercavano una via di uscita destinata a sostenere economicamente le loro famiglie o semplicemente, come gli harragas tunisini che, pur non vivendo situazioni di disagio estremo, vedono nell’emigrazione una soluzione alla mancanza di prospettive in patria. A questo proposito, sono interessanti i risultati di un sondaggio realizzato tra gli aspiranti migranti di questo paese dall’OIM e riportato dal sito tunisino Inkyfada che spiega che “selon les données de l’enquête de l’OIM sur les raisons de la migration des “migrants potentiels tunisiens”, 58.37% des répondantes veulent “améliorer [leur] niveau de vie” – la réponse la plus donnée. Mais ils et elles sont aussi 55,67% à répondre “j’aimerai pouvoir me déplacer et voyager plus librement” et 52,43% à répondre “je veux juste aller à l’étranger”. Aux raisons économiques et sociales s’ajoutent donc la liberté de circuler.
Le altre vie della migrazione
Contrariamente a quanto farebbe pensare la gerarchia delle notizie fornite dai media, concentrate sugli sbarchi di migranti, se si esaminano i dati forniti dal Ministero degli Interni sull’origine dei richiedenti asilo in Italia per il 2021, si nota che il gruppo più consistente risulta essere quello pakistano, con 7.513 persone, che rappresentano circa il 13% del totale. Questo elemento smentisce lo stereotipo del migrante richiedente asilo in arrivo via mare; infatti, nelle statistiche sugli sbarchi pubblicate dal Ministero le provenienze dal paese asiatico non compaiono, ciò fa pensare che le strade percorse dai cittadini pakistani per arrivare in Italia siano diverse da quelle utilizzate da altri migranti. Comunque, anche nel loro caso il tasso di riconoscimento è stato nel 2021 molto basso attestandosi sul 34 % delle domande. Avevano scelto percorsi simili anche i quasi 6.000 richiedenti asilo della Nigeria; infatti, anche nel loro caso non esiste traccia nelle statistiche sulle cittadinanze dichiarate al momento dello sbarco. All’opposto, sono quasi tutti arrivati via mare, percorrendo le diverse rotte mediterranee, i 7.134 i cittadini del Bangladesh che avevano richiesto asilo in Italia lo scorso anno.
Perché l’Italia, perché il NordEuropa
Tra coloro che arrivano o che richiedono asilo in Italia è invece residuale la presenza di persone o famiglie che fuggono da zone di guerra o da situazioni di conflitto endemico. Questa tipologia di migranti è invece maggioritaria tra i profughi che cercano rifugio nei paesi del Nord Europa. Le richieste presentate da cittadini siriani in Germania, nei primi nove mesi del 2021, sono state oltre 46.000, in Italia nell’intero 2021 solo 329. Questo comportamento, che a prima vista potrebbe sembrare dettato dal caso, fa pensare che i movimenti migratori abbiano una loro logica intrinseca. Come per i siriani in Germania, il progetto migratorio di coloro che arrivano in Italia ha una sua razionalità e tiene sicuramente conto anche delle difficoltà a cui, una volta toccata terra, andranno incontro. La possibilità di non ottenere asilo, in quanto privi dei requisiti necessari, sono molto alte, se si tiene conto che, secondo i più recenti dati del Ministero, tra il 2018 e il 2021, i dinieghi allo status di rifugiato hanno rappresentato oltre il 70% delle domande esaminate. L’aspettativa che sostiene questi migranti è comunque di rimanere in Italia, contando sull’inefficienza delle procedure di allontanamento: il più delle volte, esauriti i vari gradi di giudizio, il decreto di espulsione si riduce alla consegna di un foglio di via che intima alla persona di lasciare il territorio nazionale entro un tempo prestabilito. Nella peggiore delle ipotesi, ma limitata ai cittadini dei paesi con cui sono stati stipulati accordi di riammissione, la persona viene accompagnata nel paese di origine. Paradigmatico, rispetto a questa procedura, è il comportamento dei giovani provenienti dalla Tunisia che, una volta espulsi e scortati in patria, riprendono il mare e tentano nuovamente di raggiungere le coste della Sicilia.
Cosa guida i ‘migranti economici’
Nonostante le risorse impiegate e gli accordi con i paesi di partenza, il flusso dei così detti ‘migranti economici’ è poco controllabile, perché alimentato, attraverso la circolazione di notizie e il passa parola sulle mete più opportune, dalla domanda informale che proviene da un sistema economico, come quello italiano, in cui è presente, in particolare nel settore dei servizi e in agricoltura, una quota considerevole di economia sommersa. Quest’ultima, rappresenta il principale fattore di attrazione, offrendo ampi spazi di occupazione ai migranti irregolari, spesso sfruttati, ma le cui rimesse, tuttavia, permettono la sopravvivenza delle loro famiglie in patria. Dunque, quella della richiesta di asilo, in mancanza di altre possibilità di ingresso regolare, è una scelta obbligata per coloro che, lungo le rotte più disparate e spesso a rischio della loro vita, raggiungono il nostro paese. Basti pensare che i decreti flussi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno permesso l’ingresso a un numero limitato di lavoratori, mentre un paese in forte declino demografico e con un tessuto produttivo ancora fortemente labour-intensive richiede il supporto di manodopera dall’estero. Come ricordano Ferruccio Pastore, direttore di Fieri e Irene Pozzo nel loro articolo dal titolo Riscattare le politiche migratorie dall’abbandono apparso sulla rivista Il Mulino:
“un certo livello di immigrazione rimane una necessità strutturale. Affidarsi solo alle braccia di risulta dei richiedenti asilo per l’agricoltura e al «badantato» come stampella di un Welfare inadeguato sono soluzioni a dir poco subottimali, non compatibili con ambizioni di crescita sostenibile”.
Eppure, il sito tunisino Inkifada, a proposito dei giovani che lasciano il paese via mare, scrive che
“Avant de tenter une migration dite “irrégulière”, ceux et celles qui désirent migrer tentent d’abord leur chance par les voies légales. “Bon nombre de ceux qui ont finalement décidé de voyager de manière irrégulière avaient demandé des visas, mais leurs demandes avaient été refusées pour des raisons financières”
La necessità di un canale alternativo
Ancora, riferendosi alla mancanza di canali regolari di ingresso per coloro che desiderano venire in Italia, Maurizio Ambrosini, sull’Avvenire dello scorso 7 gennaio, ricorda che insieme all’allarme per l’aumento degli sbarchi avvenuti nel 2021 “si lamenta la carenza di manodopera per alimentare la ripresa economica. Nel nostro Paese il nuovo decreto flussi, annunciato pochi giorni fa e ancora in fase di perfezionamento, per la prima volta dopo anni ha ritoccato le quote al rialzo: 69.700 nuovi ingressi (contro meno di 31.000 negli anni scorsi), di cui però 42.000 dedicati al lavoro stagionale in agricoltura e nel settore alberghiero, e solo 27.700 a forme di lavoro diverse, in cui rientra un po’ di tutto, dagli artisti alle conversioni dei permessi per studio”.
Ambrosini, nello stesso articolo, conclude sostenendo:
“eppure lì sta una delle chiavi per ridurre gli arrivi dal mare e le richieste di asilo improprie: offrire un canale alternativo per ingressi sicuri, legali, ordinati, orientati da subito all’inserimento lavorativo”.
Articolo di: Paolo Moroni