• segreteria@minplusproject.eu

Comunicare l’accoglienza in Canton Ticino: il ruolo della Croce Rossa Svizzera

Comunicare l’accoglienza in Canton Ticino: il ruolo della Croce Rossa Svizzera

Continuano i nostri approfondimenti su come si può raccontare la “buona accoglienza”, sia alle comunità locali che agli stessi migranti, partendo da chi è in “prima linea”

di Paolo Moroni.

Torniamo a descrivere il sistema di accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo in Canton Ticino, ponendo particolare attenzione alle modalità di comunicazione adottate dalle istituzioni. In questo contributo si parla dell’azione intrapresa dalla Croce Rossa Svizzera verso le comunità locali, per promuovere spirito di accoglienza e inclusione, e nei confronti dei migranti, per spiegare loro il percorso nel sistema di accoglienza svizzero. In un secondo approfondimento, disponibile online nei prossimi giorni, verrà allargato lo sguardo anche all’esperienza del Soccorso Operaio Svizzero, impegnato invece sul fronte dell’occupazione lavorativa.

Come funzione l’accoglienza in Svizzera

I richiedenti protezione internazionale al loro arrivo in Svizzera sono accolti in un Centro Federale di Asilo dove si svolge, a cura della Segreteria di Stato per le Migrazioni, l’iter procedurale che può portare al diniego oppure al riconoscimento di una specifica forma di protezione. Una volta che sia definita quest’ultima i richiedenti asilo sono assegnati, secondo un criterio di proporzionalità, ai singoli Cantoni per il successivo percorso di integrazione.

In Canton Ticino l’organizzazione dell’accoglienza dei richiedenti asilo, dei titolari di status di rifugiato e degli ammessi provvisori è gestita, su mandato dell’Unità interdipartimentale per l’integrazione di ammessi provvisori e rifugiati, da Croce Rossa Svizzera – Sezione del Sottoceneri (CRSS) e dal Soccorso Operaio Svizzero (SOS) che si occupano rispettivamente della prima accoglienza e del successivo percorso di integrazione socio lavorativa.

Durante il periodo di presa in carico da parte di CRSS, che avviene presso centri collettivi e può variare da alcuni mesi a più di un anno, le persone ricevono informazioni sui diritti e doveri riferiti al loro status e seguono corsi di lingua italiana e educazione civica. Una volta che gli operatori del centro di accoglienza ritengono che la persona o il gruppo familiare siano in grado di affrontare un percorso di autonomia, avviene la presa in carico da parte del SOS che si occupa dell’inserimento in appartamenti distribuiti sul territorio e dell’accompagnamento all’inserimento sociale e lavorativo. La Croce Rossa gestisce, sempre su mandato cantonale, anche l’accoglienza e i percorsi di inserimento scolastico e lavorativo dei minori stranieri giunti in Svizzera senza un riferimento genitoriale.

CRSS e SOS fanno inoltre da cuscinetto tra le istituzioni e l’opinione pubblica ticinese nel delicato compito di rendere conto dell’azione svolta a favore delle varie categorie di migranti. Anche se la responsabilità politica del loro operato, in ultima istanza, ricade sulle autorità cantonali e confederali, CRSS e SOS si fanno carico di funzioni per le quali diventa facile prestare il fianco sia alle critiche e al malcontento dei settori di pubblica opinione che esprimono posizioni antistranieri, ma anche di coloro che, all’estremo opposto, ritengono il loro lavoro poco attento o addirittura lesivo dei diritti degli immigrati. Non da ultimo, vista la delicatezza dell’incarico e l’importante investimento pubblico che richiede, le due organizzazioni sono al centro dell’attenzione di quella parte di cittadinanza che, pur apprezzando o perlomeno accettando la funzione che svolgono, si riserva di valutare attentamente i risultati del loro operato.

Le interviste ai protagonisti

Per capire come Croce Rossa e Soccorso Operaio Svizzero gestiscono il difficile compito di comunicare e valorizzare adeguatamente il loro lavoro di fronte alla pubblica opinione, nell’ambito del progetto Minplus sono stati intervistati, tra gennaio e febbraio 2021, i responsabili delle due organizzazioni.

La prima intervista ha visto come protagoniste Debora Banchini, capo Divisione della Migrazione della Croce Rossa, affiancata da Laura Criseo, addetta stampa dell’organizzazione, e Federico Bettini, Responsabile operativo del Servizio richiedenti asilo.

Durante il secondo intervento hanno portato la loro testimonianza Valeria Canova, responsabile del settore migrazione di Soccorso Operaio Svizzero, e Rebecca Simone, responsabile del servizio In-Lav della stessa organizzazione. Sono inoltre intervenute Tatiana Lurati e Roberta Cecchi della Divisione Formazione Professionale – Ufficio dell’innovazione e della formazione continua – del Cantone Ticino, che gestisce direttamente alcuni progetti di formazione e inserimento lavorativo rivolti a rifugiati, ammessi provvisoriamente e minori stranieri non accompagnati. Potrete approfondire i contenuti di questa seconda intervista in un approfondimento ad hoc che verrà pubblicato nei prossimi giorni.

Il ruolo della Croce Rossa Svizzera

Gli interlocutori di CRSS ci riferiscono che il lavoro di accoglienza a favore dei migranti rappresenta una delle molteplici attività che l’organizzazione gestisce in campo umanitario, dunque, il fatto che Croce Rossa sia riconosciuta ed apprezzata dall’opinione pubblica rappresenta, anche in questo settore, un indubbio vantaggio dal punto di vista comunicativo. Inoltre, sia a livello locale che nazionale, viene attuata una strategia di comunicazione verso la popolazione finalizzata ad ampliare il consenso e a promuovere, insieme alla diffusione dei principi fondanti, la cultura del dono e della solidarietà.

Per quanto riguarda la Divisione della Migrazione” sottolinea l’addetta stampa “la comunicazione ai media dei fatti e delle notizie viene decisa dalla Direzione in condivisione con la responsabile del servizio e con quella della comunicazione e, data la delicatezza del servizio svolto con i migranti, solo alcune persone sono delegate a mantenere i rapporti con i media. Anche le fotografie che la stampa pubblica devono essere autorizzate in quanto, una pubblicazione non controllata, potrebbe portare, come già accaduto, a riconoscimenti da parte delle autorità dei Paesi di origine”.

Secondo gli interlocutori, quanto viene comunicato istituzionalmente diventa veramente efficace solo se conseguente e verificabile nella prassi quotidiana, infatti “comunicare e rendere visibili i progetti e le iniziative nell’ambito della migrazione aiuta a favorire una maggiore accettazione del migrante all’interno del tessuto sociale. La comunicazione favorisce in modo importante anche l’apertura delle realtà locali verso l’inclusione del migrante: accesso agli apprendistati, alle attività didattiche e a progetti istituzionali”.

E ancora: “Applicare un’informazione coerente, attiva, puntuale, trasparente, aperta sono elementi chiave per una comunicazione efficace. Inoltre, risulta importante fornire esempi di situazioni reali, utili anche per trasmettere emozioni che sono necessarie quando si parla di persone: le inaugurazioni delle strutture sono momenti di apertura e di condivisione importanti per instaurare un confronto e un dialogo con la popolazione”.

Comunicare verso l’esterno: trasparenza e azioni concrete

Un esempio interessante in questo senso sono le inaugurazioni del Foyer per Minorenni Non Accompagnati di Castione e del nuovo Centro per migranti di Cadro avvenute nel 2017.

La collocazione del Foyer, inserito in un contesto residenziale, avrebbe potuto rappresentare un problema, ma un’adeguata comunicazione preliminare e una giornata di “porte aperte” in occasione dell’inaugurazione hanno favorito un’ottima accoglienza da parte della popolazione verso i ragazzi migranti, gettando la base per costruire un buon rapporto di fiducia nella popolazione. Il fatto di aver reso accessibile la struttura al momento dell’apertura ha permesso ai residenti di vedere dall’interno questa realtà, attraverso la conoscenza del personale educativo e dei ragazzi, il tutto senza barriere, ma nell’assoluta trasparenza e disponibilità al dialogo.

Una situazione più difficile” ci dice ancora Federico Bettini “si prospettava all’apertura del Centro di Cadro,con una capienza fino a 180 ospiti. In questo caso si trattava di inserire adulti e famiglie e molte persone temevano, per svariati motivi, la vicinanza di un centro per migranti immaginando attività illegali, disordine, violenza, ma anche paura dell’effetto che la loro presenza avrebbe potuto avere sull’occupazione locale (…). L’apertura del nuovo centro ci ha permesso di presentare la presa a carico e la struttura alla popolazione con un richiamo mediatico importante. Anche in questo caso l’apertura e la visibilità all’esterno ha creato un consenso positivo nella popolazione “.

Questo tipo di iniziative, pur creando attraverso la conoscenza reciproca un avvicinamento tra i migranti e la comunità locale, non sono ancora sufficienti a dissolvere pregiudizi radicati nei confronti degli stranieri. Comunque, un episodio narrato dal Responsabile operativo della struttura di Cadroè emblematico della strategia di fronteggiamento messa in atto da CRSS.

La nuova struttura di Cadro è affacciata su un sentiero che costeggia il torrente di Dino, molto frequentato dai luganesi soprattutto nei giorni festivi. Dopo l’insediamento dei profughi e a seguito di rinvenimento di rifiuti sul percorso, gli stessi sono stati incolpati dello scorretto comportamento, ovviamente senza evidenti riscontri. La strategia adottata è stata indirizzata a non innescare polemiche, ma al contrario si è pensato di organizzare con gli ospiti momenti collettivi di pulizia del sentiero. Si tratta dunque di realizzare azioni concrete che poco alla volta possano cambiare la percezione delle persone nei confronti dei migranti”. 

Gli episodi critici, sia riguardo il Foyer che le altre strutture gestite da Croce Rossa, sono stati pochi e risolti attraverso interventi di mediazione, infatti, secondo la responsabile del servizio, il fatto di essere trasparenti, disponibili al dialogo e a disposizione per chiarire qualsiasi malinteso, insieme alla considerazione di cui l’organizzazione gode, permettono di mantenere un buon rapporto con la pubblica opinione di cui beneficiano anche gli ospiti. Anche per quanto riguarda gli organi di informazione, la CRSS ritiene importante giocare sulla trasparenza, in primo luogo per tutelare i migranti: spesso i contatti con i media avvengono in occasione di eventi negativi più che essere riferiti al lavoro quotidiano e in queste occasioni gli operatori cercano comunque di veicolare messaggi positivi e tranquillizzanti.

Comunicare con gli ospiti dell’accoglienza

L’altro fronte su cui si sviluppano i processi comunicativi dell’organizzazione è quello rivolto agli utenti: rifugiati e ammessi provvisori. In questo caso il lavoro è molto più complesso, in quanto gli operatori devono confrontarsi con persone che provengono da Paesi con culture diverse, status sociali e percorsi scolastici e formativi differenti. Il primo ostacolo è sicuramente quello linguistico, ma rappresentano una criticità anche le informazioni, spesso frutto di una comunicazione distorta, che i rifugiati hanno acquisito sulla Svizzera, Paese di accoglienza per antonomasia.

Una volta che il singolo o la famiglia di rifugiati sono assegnati alla CRSS, viene organizzato un colloquio conoscitivo, se necessario alla presenza di un interprete, in cui vengono illustrati tempi, modalità e obiettivi del percorso di accoglienza. Viene precisato inoltre che la permanenza nel Centro della CRSS è temporanea e che l’obiettivo finale del percorso è quello dell’autonomia abitativa, lavorativa e l’inserimento nella società ospite. Ad ogni persona o gruppo familiare viene assegnato un Case manager che li accompagnerà, concordando i passi da compiere, e che rappresenterà l’interfaccia comunicativa durante tutto il percorso.

Le figure di mediazione che affiancano il Case manager in questa prima fase di accoglienza hanno preparazione e funzioni diverse: l’interprete ha il compito di rendere comprensibili le regole non discutibili che governano l’andamento della comunità oppure i rapporti con le pubbliche autorità, mentre la funzione del mediatore è più sottile e si riferisce ai diversi significati e alle diverse interpretazioni della realtà che possono avere la cultura dell’utente e quella della società ospite, la cui incomprensione può determinare gravi difficoltà comunicative. I malintesi che possono minare il rapporto di fiducia tra il Case manager e gli ospiti sono legati ai tempi di uscita dal centro di accoglienza: “spesso utenti arrivati nello stesso momento vengono inseriti in appartamento e iniziano una vita autonoma in tempi diversi, chi rimane al centro di accoglienza fa dei confronti e considera questa differenza come un’ingiustizia, senza comprendere che i tempi di permanenza sono correlati al raggiungimento di una serie di obiettivi”.

Per ovviare a questa criticità sono stati elaborati dei flyer, in diverse versioni, che contengono una linea del tempo in cui sono illustrati i successivi obiettivi di autonomia, ma senza una definizione precisa dei tempi per raggiungerli. Questo metodo, basato su una visualizzazione semplice, permette alle persone di rendersi conto di quanta strada è stata percorsa e quanta è necessario ancora percorrerne per raggiungere l’obiettivo finale.
 

shares