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Emergenza Ucraina in Ticino: un Laboratorio per la governance dei percorsi di integrazione dei rifugiati?

Emergenza Ucraina in Ticino: un Laboratorio per la governance dei percorsi di integrazione dei rifugiati?

L’accoglienza dei profughi ucraini nel Canton Ticino: analisi e riflessioni per un nuovo modello di governance.

Furio Bednarz

Il contesto

Dalla fine di febbraio del 2022 tutta l’Europa è stata al centro di un flusso di sfollati senza precedenti, in fuga dal conflitto scoppiato in Ucraina in seguito all’invasione del territorio da parte delle truppe russe. Massicciamente interessati sono stati gli stati confinanti, che hanno ospitato, come prima destinazione, milioni di profughi, ma in generale molti Ucraini hanno cercato di raggiungere località sicure un po’ in tutti i paesi europei, appoggiandosi alle reti relazionali e parentali di cui disponevano, fondate sulla diffusa presenza di emigrati da quel paese in vari paesi dell’Unione. La Svizzera è stata in prima fila, tanto da giungere ad ospitare in un anno oltre 80.000 ucraini, con un’incidenza superiore all’8 per mille rispetto alla popolazione locale (a fronte dei 175.000 ucraini censiti in Italia, con un’incidenza pari a ca. il 3 per mille).

Il Ticino è stato nella fase iniziale dell’emergenza il Cantone svizzero più toccato dagli arrivi di profughi dall’Ucraina, in proporzione alla popolazione. Già a fine marzo 2022 risultavano arrivati in Svizzera 21.628 Ucraini, di cui quasi 1.700 in Ticino. L’incidenza era in Ticino pari a 5 rifugiati ucraini su 1000 abitanti contro una media del 2.5 per mille. Un anno dopo lo scoppio del conflitto il flusso si è sostanzialmente arrestato. Nel maggio 2023 risultavano depositate in Svizzera 83.428 domande per la concessione del permesso S di protezione temporanea, con 65.601 permessi S attivi (al netto dunque delle domande in istruttoria e dei rientri nel frattempo avvenuti). In seguito all’applicazione del principio di redistribuzione sul territorio dei rifugiati, applicato dalla Confederazione, le presenze in Ticino risultano ora più allineate alla media nazionale. Al Cantone sono state attribuite 3.372 persone, di cui 45 minori non accompagnati, con un’incidenza salita dunque a poco meno del 10 per mille. Si tratta in ogni caso di numeri senza precedenti, ben maggiori anche di quelli causati dalla disgregazione della Jugoslavia e dal conseguente conflitto. 

In Svizzera, come altrove, l’afflusso dei profughi ucraini è avvenuto inizialmente attraverso canali informali, grazie alla presenza, che era poco avvertita ma significativa, di una comunità di riferimento già residente nel Cantone, che ha funzionato da collettore di arrivi. Questo significa che la presenza di “asilanti” é più che raddoppiata sul territorio nell’arco di tre mesi, ma il sistema di accoglienza, che non era sotto pressione, ha retto molto bene. Sin dall’inizio l’accoglienza degli ucraini è stata del resto più agevole da gestire rispetto a quella dei richiedenti l’asilo e rifugiati provenienti da altre aree. Come altrove in Europa l’opinione pubblica si è dimostrata, soprattutto nel momento iniziale del conflitto, molto favorevole all’accoglienza degli sfollati. Nell’alloggiare i profughi, la Confederazione e i Cantoni hanno così potuto contare sulla grande solidarietà della popolazione; come emerso nella conferenza stampa del Consiglio federale del 20.5.2022, nella fase di emergenza non vi è stata pressione sulle strutture di accoglienza previste per gli asilanti: 25.000 profughi sono stati alloggiati presso privati, e di essi 21.000 hanno trovato da soli una sistemazione, e 4.000 sono stati collocati dall’Organizzazione svizzera di aiuto ai rifugiati. 

Le persone arrivate si sono in sostanza spesso arrangiate attraverso le reti amicali e famigliari per trovare alloggio, e vi è stato anche uno sforzo di accoglienza diffuso, presso famiglie che hanno offerto privatamente sostegno. 

Dopo alcuni mesi sono entrate in funzione le regole su cui ci soffermeremo più avanti, e il meccanismo di accoglienza fondato sulla concessione del permesso S di protezione temporanea (analogo in pratica a quello stabilito dalla Direttiva comunitaria 55/2001). Fatta salva la responsabilità della Confederazione nei confronti della concessione del permesso – che prevede una procedura molto veloce e pressoché automatica – la responsabilità di implementare le misure di accoglienza e sostegno sul territorio è passata ai Cantoni. Ciascuno di essi con modalità proprie si è fatto parte attiva nel disciplinare gli aiuti finanziari, in termini di accesso all’alloggio, ai servizi sociali e sanitari, alla scuola e al lavoro. Per questo la Confederazione ha stanziato un trasferimento forfettario di risorse a favore dei Cantoni stessi, che hanno dovuto provvedere a organizzare l’accoglienza diffusa, ricevendo ciascuno una quota di profughi da gestire rapportata alla popolazione.

Fig. 1 – titolari di permesso S in Svizzera per genere e classi di età (marzo 2023)

I flussi in arrivo hanno del resto riguardato, come ovunque, soprattutto donne-madri in arrivo con i figli minori, e qualche genitore anziano, a fronte della forzata permanenza in patria degli uomini in età di combattimento (vedi fig. 1). In Ticino, tuttavia, la presenza di Ucraini, maggiormente legata alle prime ondate di fuga, è risultata più eterogenea: sicuramente è oggi costituita da madri con figli piccoli e un numero limitato di minori non accompagnati da genitori, ma anche da anziani, e da alcuni nuclei famigliari “completi” arrivati nelle fasi iniziali della fuga. L’eterogeneità va anche letta considerando lo status di queste persone, molto differenziato e in taluni casi medio alto. In generale si tratta di giovani e donne le cui condizioni di istruzione e formazione sono buone, e le condizioni economiche molto differenziate, da persone che necessitano supporto (oggi messo a disposizione) e persone che investono loro risparmi o anche redditi da lavoro mantenuti grazie alla possibilità di operare anche a distanza.

Il Cantone ha comunque potuto maturare un’esperienza anticipata, e sperimentare la messa in campo di misure di accoglienza riferite ad una pluralità di bisogni: dal sostegno materiale a coloro che avevano necessità di aiuto, all’accesso alla scuola e ai servizi. Oggi si sta attuando una politica di presa in carico strutturata, guidata dalle regole confederali e basata sulla ripartizione delle persone sul territorio.

Lo Statuto di Protezione S

La presa in carico del flusso in arrivo è stata rapidamente gestita, sul piano normativo, accordando un particolare Statuto riservato ad uno specifico gruppo di persone bisognose di protezione a fronte di eventi bellici che ne mettono in pericolo la vita(1). Lo strumento dello statuto di protezione provvisoria (permesso S), che ha molti punti in comune con la Direttiva 55/2001 dell’Unione Europea, risale in realtà ad oltre un decennio prima, essendo stato creato nel contesto delle guerre di Jugoslavia, quando la Svizzera fu confrontata con un forte afflusso di persone in cerca di protezione. Nel quadro della revisione totale della legge sull’asilo, nel 1998, il sistema di protezione S è stato codificato nella legge. L’accoglienza degli Ucraini ne rappresenta peraltro il primo caso di utilizzo, non essendo stato mai applicato in passato questo tipo di permesso, pur in situazioni del tutto analoghe di persone bisognose di protezione perché in fuga da guerre e violazioni dei diritti umani, come nel caso delle popolazioni in fuga da Siria, Afganistan o altri paesi africani. Il Permesso S non prevede contingenti massimi per l’erogazione e configura una presa in carico che prevede diritti piuttosto ampi, simili a quelli concessi dalla direttiva europea. Alle persone in possesso di uno statuto di protezione S sono infatti da subito garantiti: 

  • il diritto di soggiorno, 
  • il diritto di alloggio, 
  • il diritto di assistenza, 
  • il diritto di accesso alle cure mediche, 
  • la scolarizzazione (bambini) 
  • e il diritto, da subito, a svolgere un’attività lavorativa dipendente o indipendente. 

Lo statuto di protezione temporanea permette al profugo di recarsi all’estero(2) e tornare in Svizzera senza autorizzazione di viaggio. Anche i parenti delle persone in possesso di uno statuto S possono raggiungere i propri cari in Svizzera ed essere accolti (ricongiungimento famigliare). 

Rispetto a quella dei rifugiati, la condizione delle persone cui viene rilasciato un permesso S è però caratterizzata dalla temporaneità e provvisorietà / precarietà dello statuto, collegata alla presunta temporaneità della minaccia. Diversamente da altre forme di protezione, i permessi S avendo al massimo la validità di un anno sono soggetti a rinnovo. La domanda di rinnovo va presentata al più tardi 14 giorni e al più presto tre mesi prima della scadenza della durata di validità del permesso S. La competenza per il rinnovo spetta ai Cantoni e ai rispettivi servizi di migrazione. 

Lo statuto di protezione S configura una situazione di precarietà anche perché è valevole, come recita la norma, fino alla sua abrogazione da parte del Consiglio federale (art. 76 LAsi) – e fintantoché perdurerà la situazione di pericolo generale grave in Ucraina (art. 4 LAsi). In questo senso la Svizzera si è impegnata ad agire in modo coordinato con gli Stati Schengen. Se riterrà che la situazione in materia di sicurezza sia tale da consentire il ritorno delle persone accolte in Ucraina, il Consiglio federale abrogherà lo statuto di protezione S e definirà un termine transitorio fino al ritorno effettivo. Dunque se è vero che dopo cinque anni di soggiorno, in costanza di rinnovo, i titolari dello statuto S potranno ottenere un permesso B di dimora, questo non corrisponde ad un automatismo o ad un diritto di stabilizzazione (al di fuori delle regole previste in generale per l’immigrazione o l’asilo) poiché anche questo permesso B di dimora avrà durata limitata fino alla revoca della protezione temporanea (art. 74 LAsi). Il meccanismo della protezione sembra dunque facilitare molto l’inserimento di questi profughi nel contesto locale, ma ha in nuce una condizione di precarietà che ne ostacola una reale integrazione, soprattutto per gli aspetti fondamentali legati alla costruzione di una prospettiva educativa e professionale, che pure la normativa parrebbe voler agevolare.

Il sistema federale di protezione e il ruolo dei Cantoni. 

Come abbiamo anticipato la presa in carico dei profughi ucraini è stata disciplinata utilizzando le basi legali esistenti, che prevedono un’articolato modello di corresponsabilizzazione dello stato centrale (Confederazione) e Cantoni. La concessione dello Statuto S è di competenza della Confederazione, e le persone devono richiederlo attraverso i canali federali (centri di registrazione). Le misure associate vengono implementate dai Cantoni, con il sostegno finanziario della Confederazione. 

Pilastro del sistema federale è la redistribuzione capillare sul territorio delle persone accolte, che vale anche nel caso dell’asilo. La Segreteria di Stato della migrazione (SEM) assegna ogni persona in cerca di protezione a uno dei 26 Cantoni svizzeri (art. 74 cpv. 1 LAsi). Questo Cantone è chiamato ad alloggiare e assistere la persona assegnatagli – oppure ad allontanarla se le viene negata la protezione provvisoria. Se necessario, il Cantone competente è chiamato a pagare l’aiuto sociale, che copre le necessità di base della vita quotidiana in Svizzera.

L’assegnazione cantonale dei richiedenti l’asilo e delle persone nella procedura S viene effettuata secondo una chiave di ripartizione. Nel quadro dello statuto S, ogni Cantone accoglie un numero di persone proporzionale alla sua popolazione. Il giorno della registrazione in uno dei sei centri federali d’asilo (CFA), la SEM decide a quale Cantone la persona o il suo nucleo famigliare saranno assegnati, secondo la chiave di ripartizione, e informa con decisione scritta sulla concessione dello statuto S. In linea di principio, l’assegnazione cantonale è insindacabile ma vi sono casi che generano il diritto a essere assegnati allo stesso Cantone, ad esempio per prossimità con i parenti o persone di riferimento:

  • famiglia nucleare estesa: coniugi; genitori e figli minorenni; genitori e figli maggiorenni se cercano protezione senza la propria famiglia; e nonni.
  • persone vulnerabili con parenti stretti al di fuori della famiglia nucleare estesa: per esempio, minorenni non accompagnati, persone con disabilità, gravi problemi di salute o infermità di vecchiaia.

Le richieste di assegnazione a parenti più lontani o amici stretti possono essere prese in considerazione solo se la chiave di ripartizione può essere rispettata.

Anche la disponibilità di un alloggio privato può essere presa in considerazione, se la chiave di ripartizione può essere rispettata, mentre in caso contrario rimane possibile l’assegnazione ad un altro Cantone, chiamato a cercare un nuovo alloggio. 

Il principio dell’assegnazione da parte della Confederazione ai Cantoni ha punti forti – perché favorisce l’accoglienza diffusa ed evita massiccie concentrazioni di rifugiati – ma per molte famiglie rappresenta anche un vincolo, soprattutto in un paese caratterizzato da condizioni culturali, linguistiche e socio-professionali così eterogenee come la Svizzera. Esiste ovviamente una possibilità di ricorso avverso l’assegnazione, che coinvolge il Tribunale amministrativo federale (TAF). Ma non è facile da perseguire. Lo possono fare unicamente gli interessati in grado di denunciare una violazione del principio dell’unità della famiglia. Inoltre, le persone che chiedono protezione hanno la possibilità di presentare una richiesta scritta di cambiamento di Cantone presso la SEM. Questa domanda deve indicare il Cantone di residenza, il Cantone al quale la persona desidera essere assegnata e il motivo del cambiamento nonché tutte le persone interessate dal cambiamento di Cantone. Anche questa istanza rappresenta un’opportunità poco praticabile, poiché gli interessati devono agire molto tempestivamente, prima che la decisione di assegnazione passi in giudicato (30 giorni dalla data della decisione sullo statuto S), mentre dopo il passaggio in giudicato della decisione, una domanda di cambiamento di Cantone sarà approvata solo in situazioni speciali:

  • ricongiungimento della famiglia nucleare estesa: coniugi; genitori e figli minorenni; genitori e figli maggiorenni, a condizione che questi ultimi soggiornino in Svizzera senza la propria famiglia; nonni.
  • Ricongiungimento di persone vulnerabili con persone di riferimento importanti esterne alla famiglia nucleare estesa (p. es. minorenni non accompagnati, persone con disabilità, gravi problemi di salute o infermità di vecchiaia), se ciò può migliorare la situazione assistenziale.

In tutte le altre situazioni, il cambiamento di Cantone è possibile solo se i Cantoni interessati danno il loro consenso, per esempio in caso di:

  • trasferimento in un alloggio privato idoneo
  • trasferimento presso un lontano parente o un conoscente
  • trasferimento per un’attività lucrativa fuori dal Cantone.

Altro pilastro della relazione tra centro e autorità locali è il principio della compartecipazione finanziaria. La Confederazione indennizza le spese sostenute dai Cantoni per l’alloggio, l’aiuto sociale e le cure mediche versando una somma forfettaria globale di ca. 1.500 franchi mensili che spetta al Cantone destinare alle varie voci(3).  

A differenza di quanto avviene nel caso delle procedure ordinarie di asilo, poiché lo statuto S è concepito in vista del ritorno, la legge sull’asilo non prevede invece il versamento ai Cantoni dei fondi a favore dell’integrazione stanziati a sostegno delle misure di inserimento dei rifugiati riconosciuti. La Confederazione riconosce tuttavia che è necessario corrispondere un contributo per le misure finalizzate all’apprendimento linguistico accordando ulteriori 3.000 franchi annui per ciascun profugo accolto ai fini di supportarne la formazione linguistica. 

Il caso del Ticino. Governance e gestione dell’accoglienza.

L’esperienza ticinese è interessante perché configura una buona capacità di implementazione pragmatica della soluzione “Statuto S” ai fini di mettere ordine ad un flusso inizialmente spontaneo di arrivi sul territorio. Alle persone presenti è stato richiesto di annunciarsi per poter poi accedere ai diritti definiti dallo Statuto di protezione. Le modalità hanno considerato due situazioni: persone che disponevano di un alloggio in Ticino e persone che non ne disponevano, e quindi dovevano essere registrate, per accedere agli aiuti, in attesa di una assegnazione secondo le chiavi di ripartizione stabilite dalla Confederazione.

Entrambe le procedure si sono rivelate snelle ed efficaci, confidando molto sull’uso delle nuove tecnologie e la buona alfabetizzazione digitale dei beneficiari per rendere fluido il processo. La procedura per le persone che disponevano già di un alloggio in Ticino era complessa, dipendendo da una varietà di soluzioni abitative, ma in sintesi era articolata in 4 step:

  • annuncio da parte dell’interessato attraverso la piattaforma online attivata per richiedere lo statuto S (portale: https://registerme.admin.ch )
  • convocazione delle persone al Centro federale di asilo (CFA) di Chiasso 
  • attribuzione delle medesime al Cantone Ticino. In applicazione alle disposizioni federali, tale attribuzione spetta alla SEM e  permette di attivare i passi successivi
  • annuncio al Cantone; solo dopo aver effettuato il colloquio personale al CFA di Chiasso, le persone sono invitate ad annunciarsi al Cantone attraverso lo sportello situato a Bellinzona. È necessario prendere appuntamento (www.ti.ch/ucraina ) per un colloquio al quale andrà presentato l’attestato provvisorio rilasciato dal CFA.
  • Convocazione delle persone che si sono annunciate alla Sezione della popolazione. Le persone vengono convocate per il rilevamento dei dati biometrici al Servizio dei documenti d’identità per il rilascio del permesso S.

La procedura per le persone che non disponevano ancora di un alloggio in Ticino prevedeva invece tre passi:

  • annuncio dell’interessato al Centro federale di asilo (CFA) di Chiasso e avvio della procedura già esaminata con il il rilascio di un attestato provvisorio
  • annuncio ad un Punto di affluenza (PAF) – a Cadenazzo o Monteceneri – presentando l’attestato provvisorio rilasciato dal CFA. L’annuncio al PAF permette di attivare gli aiuti forniti dal Cantone Ticino e di usufruire di un alloggio.
  • Assegnazione di un alloggio, in un Centro regionale collettivo o in una struttura socio-sanitaria.

Il sistema ha nel complesso funzionato bene, anche perché vi è stata solidarietà da parte della popolazione nel mettere a disposizione alloggi, e buona autosufficienza dei profughi. Nel maggio 2023 solamente 76 persone – su circa 3.300 presenti – sono alloggiate presso centri di accoglienza, 2.255 persone precedentemente alloggiate presso privati sono entrate nel dispositivo cantonale di sostegno, che agevola il collocamento in alloggi in affitto, e 986 hanno autonomamente trovato sistemazione in propri appartamenti reperiti in affitto o di proprietà.

Fig. 2 – processo di presa in carico dei profughi ucraini – Canton Ticino (stato gennaio 2023)

Va detto che a livello svizzero l’emergenza ucraina è stata affrontata a livello abitativo mobilitando l’economia privata e la società civile al fine di assicurare alloggio alle persone accolte, piuttosto che appesantire la situazione dei centri di accoglienza e le rete di supporto attiva nel caso dei rifugiati. Un caso interessante di partnership pubblico-privato è stato quello dell’associazione mantello del settore immobiliare, presente in tutta la Svizzera, la SVIT, che si è proposta in tutto il paese come parte attiva del sistema di accoglienza. SVIT Svizzera – si legge nel loro sito – accoglie con favore l’iniziativa di proprietari, locatori e inquilini di mettere a disposizione uno spazio abitativo e sostiene in un primo passo con un documento informativo e un modulo di richiesta per la sublocazione, nonché un punto di contatto per le domande legali riguardanti la messa a disposizione di alloggi. L’associazione è anche in contatto con le autorità per un approccio comune. Le informazioni di dettaglio sull’impegno della SVIT si trovano in https://www.svit.ch/it/svit-ticino/attualita/accoglienza-di-persone-dallucraina

Il sistema attribuisce ai Cantoni la responsabilità di allestire il piano di accoglienza in alloggi dei profughi, destinando eventuali compensazioni a privati che mettano a disposizione un’abitazione o accolgano presso il proprio alloggio le persone. Inizialmente in Ticino è stato messo a punto un sistema coordinato dagli Enti locali. Chi desiderava mettere a disposizione un appartamento, doveva annunciarsi alla cancelleria del Comune dove si trovava l’alloggio la cui disponibilità avrebbe permesso di superare l’accoglienza nei centri collettivi regionali. Sul sito web www.ti.ch/ucraina era disponibile un modulo attraverso il quale le cittadine e i cittadini potevano anche segnalare mobili da donare per gli appartamenti non ammobiliati. Per rifugiati che dai centri cantonali venivano collocati in appartamenti in locazione era riconosciuto un canone locativo, concordato con ogni proprietario e comprensivo delle spese accessorie e di quelle di consumo (acqua, elettricità). 

Inizialmente il Cantone, che ha la responsabilità di verificare l’idoneità degli alloggi messi a disposizione, ha dunque stipulato i contratti di locazione (di principio trimestrali) con i proprietari e ha firmato un accordo di buon uso con i beneficiari cui l’alloggio era stato assegnato. Il canone di locazione si è basato sulle tariffe giornaliere della Confederazione e dei cantoni per l’alloggio di persone bisognose di protezione(4).  

Conclusa la fase di emergenza si è poi provveduto a ristabilire i processi ordinari, integrando il costo dell’affitto nelle prestazioni mensili erogate ai beneficiari di sostegno sociale. A tutte le persone con permesso S che abitano attualmente in un alloggio messo inizialmente a disposizione dal Cantone, è stata richiesta la sottoscrizione di un contratto di affitto direttamente fra l’amministratore/proprietario dell’alloggio e gli attuali occupanti maggiorenni (solidali nell’obbligazione contrattuale). L’Ufficio Richiedenti l’Asilo e Rifugiati (URAR) continua  peraltro a facilitare la firma offrendo una garanzia assicurativa per il contratto di locazione in favore del proprietario di casa, la cui fattura sarà emessa a nome degli occupanti e sarà riconosciuta con le prestazioni per gli aventi diritto. L’interessato firma contestualmente una procura che permette all’URAR di versare direttamente l’affitto (o la sua quota parte) all’amministratore/proprietario dell’alloggio per conto degli occupanti a beneficio di prestazioni sociali nell’ambito del rinnovo mensile delle prestazioni. I detentori di permesso S che non beneficiano di prestazioni sociali, pur convivendo con persone aventi diritto, stipulano i contratti e sono tenuti a versare autonomamente l’affitto (o la loro quota parte) al locatore. 

Vale per tutti il principio che le spese per l’affitto sono riconosciute da parte del Cantone, tramite l’Ufficio Richiedenti l’Asilo e Rifugiati (URAR), nelle prestazioni erogate solo ed esclusivamente se il contratto è stato accettato prima della firma. Questo vale sia in caso di assegnazione di un nuovo alloggio, che di trasloco per modifica del numero di persone occupanti. La mancata osservanza di questo principio può determinare la perdita del diritto di beneficiare di prestazioni assistenziali.

Ferme restando le disposizioni federali in materia di asilo e statuti, il Cantone ha nel complesso reagito all’emergenza mettendo in campo una buona e rapida capacità organizzativa, caratterizzata dalla valorizzazione del metodo di coordinamento interdipartimentale già implementato in generale nel campo delle misure di integrazione. Sono stati coinvolti, a livello strategico e di governance, i Dipartimenti delle istituzioni (settore permessi, delegato all’integrazione), delle Finanze e dell’economia (mercato del lavoro), della sanità e socialità (che gestisce tutto il settore dell’asilo) e dell’Educazione, cultura e sport (sistema scolastico e formativo). Operativamente, a livello di gestione, sono state attivate le risorse professionali che facevano capo all’Unità interdipartimentale istituita nel contesto dell’Agenda integrazione, appena un minimo rafforzate (il che ha ovviamente generato un forte sovraccarico di lavoro). La capacità integrativa nel sistema scolastico è stata pressoché immediata. In poco tempo è stata anche allestita una struttura per la consulenza ai profughi, attivando una rete di sportelli di integrazione situati a Bellinzona, Lugano e Chiasso. Per il tramite degli sportelli l’URAR assicura a tutte le persone sul territorio munite di permesso S una valutazione dei bisogni di integrazione. Sono a disposizione corsi di lingua, misure di sostegno alle famiglie, attività di socializzazione e inserimento professionale. I servizi sono erogati in collaborazione con diversi Uffici cantonali e comunali e attivando forme di partenariato pubblico – privato.

Fig. 3 – Dossier trattati dall’URAR/DSS (stato al gennaio 2023)

I profughi con permesso S che non sono economicamente indipendenti possono poi usufruire di prestazioni di sostegno sociale erogate dall’URAR. Queste comprendono le spese per un alloggio, la copertura dei costi della salute ed i mezzi per il sostentamento dei bisogni primari. La richiesta avviene tramite un incontro di rinnovo mensile presso gli sportelli prestazioni di Bellinzona, durante il quale vengono esaminati i documenti richiesti e poste le domande necessarie a stabilire il fabbisogno di ogni nucleo famigliare. 

Al di là della rete di sportelli fisici, si ricorre in misura ampia – nei contatti coi profughi – anche ai canali digitali. Il Cantone ha attivato una pagina con informazioni utili dettagliate sia per chi intende chiedere sostegno, che per coloro che offrono supporto: https://www4.ti.ch/di/ucraina/it/home/. Attraverso tale pagina web passa anche l’annuncio agli Sportelli, che deve avvenire online, secondo una procedura analoga a quella sperimentata durante l’emergenza COVID per la gestione delle vaccinazioni. Oltre al sito citato, viene messa a disposizione un’Helpline cantonale 0800 194 194, attiva dal lunedì al venerdi dalle 08:00 alle 12:00 e dalle 13:00 alle 17:00 (festivi esclusi) che affianca la Helpline federale accessibile via e-mail.  È stato anche attivato un canale Telegram dedicato: https://t.me/s/ucrainaTi. Su Twitter la Confederazione informa dal canto suo mediante l’hashtag #UkraineInfoCH.

I risultati dei colloqui agli Sportelli, e l’assegnazione mirata delle misure di sostegno (materiale e in termini di servizi e accesso alla formazione), vengono digitalizzati su un sistema Share Point, che permette di avere sempre l’evidenza del dossier personale, nel passaggio ai vari uffici chiamati a prendere in carico i profughi. Grazie ad un efficace processo di accoglienza il Cantone è riuscito a fronteggiare l’impatto di un’emergenza che ha portato ad un aumento enorme (vedi fig. 3) dei dossier trattati dall’Ufficio Richiedenti l’asilo e Rifugiati (URAR) del Dipartimento della sanità e della socialità (DSS).

Di seguito, al di là della soluzione adottata per la sistemazione abitativa, approfondiremo alcuni aspetti settoriali specifici del dispositivo di accoglienza meritevoli di una particolare attenzione, soffermandoci sulla scuola, sull’accesso ai servizi e in particolare alla sanità, sull’aiuto finanziario, sull’accesso al mercato del lavoro.

Diritto alla scolarizzazione

Considerata la natura dei flussi in arrivo, alimentati in larga misura da bambine e bambini e giovani nel pieno dell’età educativa, sia la Confederazione che i Cantoni hanno messo in campo misure puntuali per la fruizione del diritto alla scolarizzazione.

In un sistema formativo fortemente decentrato, è toccato al Cantone di assegnazione – in applicazione del diritto scolastico cantonale – e rispettivamente ai Comuni di residenza (nel caso dell’istruzione primaria), prendere l’iniziativa garantendo l’accesso alla formazione scolastica, che è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione federale come l’obbligo scolastico(5)

I 26 Cantoni e i loro Comuni sono responsabili della scuola dell’obbligo e quindi sono stati chiamati a occuparsi della scolarizzazione di bambini e ragazzi provenienti dall’Ucraina. Dopo essere stati assegnati a un Comune, i bambini e i ragazzi sono stati ammessi direttamente a una classe regolare e hanno beneficiato inoltre di un corso intensivo della lingua scolastica locale (tedesco, francese o italiano, a seconda della regione linguistica), oppure sono stati integrati per un certo tempo in una classe per allievi di lingua straniera. In linea di principio, hanno frequentato la scuola pubblica nel luogo di residenza. Questo vale anche per i bambini e i ragazzi che sono arrivati in modo indipendente, stabilendo la loro residenza in un Comune.

Sul piano del diritto (come risulta dalle FAQ riportate nel sito della SEM dedicato all’emergenza ucraina), i giovani profughi provenienti hanno potuto beneficiare anche della possibilità di studiare (o continuare i propri studi) presso università o scuole universitarie professionali Svizzere, intraprendendo studi, proseguendo gli studi iniziati in patria o perfezionandosi in Svizzera. L’accesso allo studio doveva essere concordato con l’università o la scuola universitaria professionale stessa, che la persona interessata poteva contattare direttamente. Andrà dunque verificata l’effettiva fruzione di questa possibilità, collegata del resto anche al possesso di competenze linguistiche sufficienti a garantire una proficua frequenza.

Anche ai bambini e ai giovani arrivati in Ticino in provenienza dall’Ucraina è stato da subito garantito il diritto all’educazione attraverso le strutture ordinarie. L’inserimento è avvenuto dal momento in cui i bambini e i giovani disponevano di una residenza sul territorio ticinese. La scuola ticinese si è prodigata nella messa in campo di misure di accompagnamento per bambini e giovani che ovviamente avevano bisogni particolari. Se da un lato sono state adottate anche alcune misure di sostegno alla continuità educativa dei giovani nel sistema di provenienza, ad esempio supportando forme di didattica a distanza, molto è stato fatto soprattutto per favorire l’integrazione dei ragazzi nelle classi. Ai bambini e ai giovani che non parlavano italiano è stato offerto un sostegno apposito per l’apprendimento dell’italiano come lingua di scolarizzazione e per una loro integrazione nella scuola. Per favorire il superamento delle barriere linguistiche – oltre a incoraggiare l’utilizzo delle varie app di traduzione (gratuite) per smartphone/tablet, che si sono dimostrate utili per consentire alle famiglie ospitanti e ai profughi ucraini di comunicare abbastanza facilmente – si è fatto ricorso da parte di alcune scuole ad insegnanti o assistenti con conoscenze della lingua ucraina per agevolare la comunicazione, mentre minore è stato il ricorso ai servizi di interpretariato interculturale, pure esistenti e garantiti dall’Agenzia Derman. 

Il Cantone – come risulta dal dossier predisposto dal DECS in occasione della chiusura dell’anno scolastico 2021/2022, presentato nell’annuale conferenza stampa  – ha ospitato nelle proprie scuole quasi 800 bambini e giovani provenienti dall’Ucraina, offrendo loro l’accesso e la continuità dell’educazione, implementando quello che è anche un obbligo legale alla scolarizzazione e alla formazione fino ai 18 anni di età, non sostituibile attraverso la frequenza online di una scuola ucraina o di altre scuole a distanza(6).   

Sono state adottate misure di informazione capillare. Alle persone con figli titolari di permesso S tra i 4 e i 18 anni è stato chiesto di annunciarsi presso la Cancelleria comunale del Municipio di residenza, che ha avuto la responsabilità di di mettere in contatto le famiglie con la direzione dell’istituto scolastico cantonale o della scuola media più vicina. I giovani tra i 15 e i 18 anni che in Ucraina risultavano aver già terminato la scuola media (scuola secondaria inferiore) dovevano invece essere annunciati presso l’Istituto della transizione e del sostegno del Cantone, responsabile di attivare misure di orientamento e formazione linguistica funzionali alla scelta del percorso scolastico postobbligatorio in Ticino. Questo ha permesso ai giovani di seguire uno specifico progetto a loro dedicato con corsi intensivi di lingua italiana e sostegno nella scelta del percorso scolastico in Ticino (www.ti.ch/qua). In una seconda fase, questi giovani sono poi stati indirizzati verso una scuola media superiore oppure una scuola professionale (progetto Q-UA – Qualificazione Ucraina), anche fruendo dei servizi di orientamento e informazione assicurati dalla “Città dei mestieri della Svizzera italiana”, presente a Bellinzona. 

Particolare cura è stata posta a livello di comunicazione e informazione. È stato preparato un flyer di base, tradotto in lingua ucraina (Emergenza Ucraina. La scuola in Ticino – informazioni). Ulteriori informazioni sulle formazioni e sulle professioni sono state rese disponibili in lingua ucraina al seguente link: https://www.orientamento.ch/dyn/show/194350?lang=it 

Le direzioni delle scuole sono state poi informate costantemente tramite gli ispettorati in merito alle questioni inerenti alla scolarizzazione di allievi provenienti dall’Ucraina.

Considerato l’elevato numero stimato di allievi provenienti dall’Ucraina da scolarizzare in Ticino e tenuto conto della volontà di garantire a questi allievi una regolare integrazione scolastica in tempi brevi, il Cantone si è anche sforzato al fine di ripartire per quanto possibile in modo equo ed eterogeneo gli alloggi dei nuclei familiari degli allievi nei vari circondari e comuni, tenendo conto proporzionalmente della grandezza e della capacità di ognuno di essi. Questo per evitare di sovraccaricare il sistema scolastico condensando un numero eccessivo di allievi in pochi punti specifici. Per far ciò i comuni sono stati invitati a comunicare costantemente alle autorità scolastiche cantonali, tramite le direzioni scolastiche, eventuali allievi che si fossero annunciati o fossero stati inseriti presso l’istituto del Comune, come pure l’eventuale impossibilità di accogliere ulteriori allievi in determinate classi o la necessità di potenziare il servizio di lingua e integrazione al fine di supportare adeguatamente l’Istituto nell’accompagnamento scolastico dei nuovi allievi.

Nel suo complesso la crisi ucraina ha sottoposto la scuola ticinese a una prova di flessibilità risultata vincente. Tale risultato è dimostrato dai dati riferiti all’anno scolastico che era in corso al momento dello scoppio del conflitto, riportati nella citata conferenza stampa di fine anno scolastico 2021/2022. Tra l’inizio delle ostilità a inizio giugno sono stati accolti nelle scuole ticinesi oltre 630 allievi provenienti dall’Ucraina, di cui oltre cento nella scuola dell’infanzia, oltre 250 nelle scuole elementari, oltre 170 nelle scuole medie e un centinaio nelle scuole postobbligatorie. Nella scuola dell’obbligo l’accoglienza dei profughi è stata prestata in accordo alle finalità e alle modalità utilizzate abitualmente per l’accoglienza di allievi alloglotti: 

  • priorità alla socializzazione e all’integrazione linguistica e culturale; 
  • promozione di un contatto diretto e personale con ogni famiglia; 
  • ricorso al docente di lingua e integrazione a supporto dei docenti. 

Fattore inedito, soprattutto alle medie, è stata la possibilità per gli allievi di ricorrere a una didattica a distanza offerta dalle istituzioni scolastiche ucraine (a questo scopo le sedi ticinesi hanno messo a disposizione le tecnologie e gli spazi necessari, ma sempre all’interno dell’orario e del contesto scolastico). 

Pur potendo ricorrere a una ormai consolidata esperienza nel campo dell’accoglienza degli allievi alloglotti, i numeri e l’intensità del flusso di profughi ha richiesto di ricorrere a mezzi straordinari. È quindi stato necessario potenziare il servizio cantonale di lingua e integrazione in modo da supportare adeguatamente gli istituti scolastici comunali e cantonali: sono stati assunti 20 docenti di lingua e integrazione supplementari nelle scuole comunali e 30 nelle scuole medie. Una sfida particolarmente significativa è stata l’alta concentrazione di arrivi spontanei di profughi ucraini inizialmente registrata nel Luganese e nel Mendrisiotto (più della metà degli allievi ospitati), che ha richiesto alle direzioni e agli attori scolastici locali notevoli sforzi organizzativi e alle autorità cantonali un lavoro di concerto che ha consentito di migliorare significativamente la distribuzione regionale degli allievi. È dunque possibile affermare che la scuola dell’obbligo ha saputo adempiere al suo mandato di inclusione, accoglienza e integrazione sin dai primi mesi. La situazione si è consolidata nell’anno scolastico in corso, anche perché già durante il periodo estivo 2022 gli allievi provenienti dall’Ucraina e altri allievi alloglotti in età di scuola dell’obbligo hanno potuto accedere a un’offerta straordinaria di corsi intensivi di italiano organizzati dal DECS in collaborazione con la Fondazione Lingue e sport. Da settembre 2022 è continuata la scolarizzazione ordinaria in accordo alle procedure di accoglienza per gli allievi alloglotti.

Importanti anche i risultati conseguiti sul versante della formazione post-obbligatoria. Dall’inizio aprile 2022 l’Istituto della transizione e del sostegno, in collaborazione con la Sezione dell’insegnamento medio superiore, ha avviato uno specifico programma con l’obiettivo di garantire un sostegno per la qualificazione dei giovani tra i 15 e i 18 anni residenti in Ticino, che nel loro paese frequentavano una formazione postobbligatoria (liceo o formazione professionale). Sono stati circa 100 i giovani inseriti nel programma, che è proseguito anche durante l’estate. A questi giovani, dopo un bilancio delle competenze scolastiche in funzione del tipo di scuola frequentata in Ucraina, è stato assicurato l’insegnamento intensivo della lingua italiana, con moduli di presentazione del territorio e del sistema scolastico svizzero per favorire l’inserimento sociale e scolastico e l’accompagnamento nell’inserimento in una formazione postobbligatoria in Ticino o verso una misura di sostegno alla transizione a partire dall’anno scolastico 2022/2023. Circa un quarto dei giovani finora accolti dal programma, oltre a usufruire di lezioni intensive di italiano, è stato inserito in classi delle scuole medie superiori e ha potuto seguire parte delle lezioni settimanali.  

In prospettiva le misure in atto si propongono di consolidare la possibilità dei giovani di sviluppare una formazione di base. Lo statuto di protezione S ha previsto per i giovani la possibilità di svolgere un apprendistato, nella forma duale, o anche un praticantato (stage) come attività lucrativa di durata determinata con carattere formativo. Il diritto di accesso al lavoro (di cui diremo in seguito) incoraggia i giovani ucraini, previa autorizzazione di lavoro del Cantone a sviluppare la loro istruzione anche presentando un programma di formazione e un contratto di lavoro di durata determinata in cui sia stato fissato un salario che sia usuale per il luogo e il settore, appropriato per la funzione e in linea con il livello di formazione della persona interessata. Allo stesso modo i giovani possono assolvere una formazione professionale di base, per accedere alla quale oltre al contratto di apprendistato è necessario conseguire un livello di conoscenza linguistica B1 in tedesco, francese o italiano, a seconda di dove si trova la scuola professionale o l’azienda di tirocinio. Il datore di lavoro deve sollecitare il necessario permesso di lavoro presso le competenti autorità cantonali preposte al mercato del lavoro e alla migrazione. Una volta ottenuto un permesso di lavoro valido, l’azienda di tirocinio deve sottoporre il contratto di tirocinio per approvazione all’ufficio cantonale della formazione professionale competente. Ai giovani fuggiti dall’Ucraina viene anche assicurato il diritto di restare in Svizzera fino a quando non hanno portato a termine il tirocinio – anche qualora lo statuto di protezione S venga abrogato prima della fine del periodo di tirocinio.

Il diritto all’istruzione e scolarizzazione dei giovani profughi è stato dunque sin dall’inizio al centro dell’attenzione. Risultati positivi si sono ottenuti nel caso della scuola dell’obbligo, qualche difficoltà in più nel post obbligo e nel settore professionale, a fronte di una propensione di molti giovani ucraini verso formazioni liceali per le quali non sempre avevano i requisiti di base, mentre la precarietà dello Statuto riconosciuto ai profughi (permesso S) non ha facilitato l’attivazione di tirocini nella forma duale. 

Sicuramente a livello di scuola dell’obbligo si è potuto far tesoro dell’esperienza acquisita in questo campo negli ultimi anni, attraverso gli interventi di integrazione nelle scuole dei minori provenienti dall’Africa e dall’Asia, talvolta minori non accompagnati ospitati presso i centri della Croce Rossa. Le scuole si sono attrezzate in tempi stretti, e hanno messo in campo interventi di sostegno ma essenzialmente hanno favorito l’ingresso dei giovani nelle classi, pur se probabilmente una maggiore gradualità degli inserimenti – anche in presenza di traumi notevoli – sarebbe stata forse più opportuna. 

Nella valutazione di alcuni operatori scolastici particolarmente impegnati sul versante dell’integrazione, l’esperienza maturata nell’inserimento dei giovani ucraini non è stata esente da difficoltà, ha comportato successi e insuccessi, ma rappresenta, almeno dal punto di vista dei principi adottati e dell’apertura e flessibilità dimostrata dalle scuole, un modello che andrebbe replicato e ampliato per migliorare anche le chance educative dei giovani rifugiati e asilanti provenienti da altre realtà del mondo.

Nella valutazione di alcuni operatori scolastici particolarmente impegnati sul versante dell’integrazione, l’esperienza maturata nell’inserimento dei giovani ucraini non è stata esente da difficoltà, ha comportato successi e insuccessi, ma rappresenta, almeno dal punto di vista dei principi adottati e dell’apertura e flessibilità dimostrata dalle scuole, un modello che andrebbe replicato e ampliato per migliorare anche le chance educative dei giovani rifugiati e asilanti provenienti da altre realtà del mondo.

Accesso ai servizi socio-sanitari e aiuto sociale

I titolari dello statuto S hanno avuto garantito l’accesso alle cure mediche e ai servizi sanitari, sulla base del sistema vigente che si fonda sull’istituto assicurativo delle “casse malati”(7)

L’obbligo assicurativo non si poneva per coloro che intendessero soggiornare in Svizzera per tre mesi senza visto o autorizzazione, abitando ad esempio presso parenti o privati, ma scattava per tutti coloro che ricevevano il permesso S, salvo i casi di urgenza in cui si fossero manifestati bisogni di cure mediche immediate nelle fasi precedenti alla concessione del permesso S, quando le spese, rispettivamente l’aiuto sociale e il soccorso d’emergenza, sono rimasti a carico del Cantone.

La SEM ha poi previsto per i profughi alloggiati nei CFA un sostegno psicologico attraverso Medic-Help, assegnando ai Cantoni l’attivazione di tale servizio, coperto comunque dall’assicurazione malattia obbligatoria.

In Ticino il Cantone si è mosso in modo tempestivo, prevedendo autonomamente all’affiliazione alla Cassa malati di tutte le persone a cui è stato concesso lo statuto S da parte della Segreteria di Stato della migrazione (SEM) e attribuite al Canton Ticino che si fossero annunciate per ricevere le prestazioni sociali. Anche in questo caso l’emergenza ha richiesto che URAR aprisse inizialmente una polizza collettiva per tutti i rifugiati con permesso S sul territorio. A partire dal mese di ottobre 2022 i costi per i premi assicurativi e le spese mediche sono riconosciuti solamente ai beneficiari di prestazioni sociali. Le persone economicamente indipendenti sono tenute a sostenere in autonomia tali costi. Non beneficiando di prestazioni sociali, i detentori di un permesso S posso fare richiesta e verificare il diritto ad una riduzione dei premi tramite il formulario RIPAM 2023. Da gennaio 2023 le polizze assicurative sono intestate direttamente ai beneficiari della copertura assicurativa ed i relativi costi riconosciuti mensilmente assieme al versamento delle prestazioni per gli aventi diritto(8).

Sostegno nell’accesso all’assicurazione malattia, e quindi alle cure, e aiuto sociale sono pertanto strettamente legati. Il Cantone, tramite lo sportello di Bellinzona, incaricato del rinnovo dei permessi S, ha gestito gli aiuti finanziari per le famiglie che li avevano richiesti, fin dal mese di aprile 2022. Inizialmente tali aiuti hanno riguardato alcune centinaia di nuclei famigliari (300 quelli convocati alla metà del mese di aprile). Per un adulto sono stati previsti 500 franchi al mese, 750 per una coppia, 317 i franchi per un bambino minorenne e 500 per un maggiorenne. La concessione di aiuti finanziari è stata di norma complementare alle prestazioni garantite in natura (accesso all’alloggio, ai servizi, alla sanità, etc.), e ha rispettato il principio di assicurare il minimo vitale. Nel maggio del 2023 risultano essere state 3.031 le persone che hanno ricevuto il versamento di almeno un aiuto finanziario, e 1.744 quelle sostanzialmente a carico, contro 341 persone che non ne hanno beneficiato affatto.

Sul versante dell’aiuto sociale l’esperienza maturata nei confronti degli Ucraini ha fatto emergere alcune contraddizioni. Fondamentalmente ha prevalso – soprattutto nella fase iniziale – l’apertura e la generosità. Col tempo si sono tuttavia manifestate spinte contrarie, legate ad un’opinione pubblica colpita dalla presenza tra i rifugiati di persone di status economico e sociale molto diverso e non di rado apparentemente alto, simboleggiata – nella percezione della cittadinanza – dalle vetture di grossa cilindrata e prestigio con cui molti degli ospiti erano arrivati. Episodio simbolico del mutamento di segno del clima, riportato dalla stampa a inizio 2023, è stata la decisione delle autorità federali di richiamare all’applicazione di criteri più severi nella concessione degli aiuti, dando vita in un limitato numero di casi al sequestro dei beni di coloro che avevano indebitamente percepito aiuti disponendo di un patrimonio personale: in sostanza un provvedimento che ha colpito simbolicamente il bene più visibile e forse unico, le autovetture di lusso, di cui alcuni ucraini sono stati espropriati in omaggio ad un principio di omogeneità di trattamento tra asilanti (chi percepisce sussidi deve dimostrare di essere nullatenente). Portata all’attenzione della stampa, la vicenda si è rivelata un boomerang dal punto di vista dell’efficacia (pochissime le auto realmente sequestrate e molto meno quelle vendute all’asta) e dei risultati di immagine. Essa ha fatto emergere il latente malessere dell’opinione pubblica, dando sfogo a una nuova narrazione della presenza degli Ucraini, letta come sempre più ingombrante e oggetto di trattamenti privilegiati(9)

Accesso al lavoro e prospettive di integrazione

Favorire l’accesso al lavoro, o anche la continuità del lavoro già svolto attraverso le prestazioni da remoto ove possibile, è stata una delle opzioni chiave fatte all’atto di assicurare agli ucraini il permesso di protezione S. Permettendo un’immediata autorizzazione all’attività lucrativa, si pensava di ridurre il rischio di cronicizzazione dell’assistenza, creando anche prospettive di integrazione di più lungo periodo, che potrebbero a loro volta generare attese nella popolazione interessata e motivare un investimento nella formazione e professionalizzazione nel contesto di accoglienza. Tuttavia queste potenzialità, come vedremo, si sono scontrate con la sostanziale precarietà e incertezza di durata e prospettiva dello Statuto S, che ha agito da deterrente all’avvio di percorsi di integrazione da parte dei profughi e all’assunzione da parte di datori di lavoro locali, che pure avevano inizialmente manifestato forte interesse per questa prospettiva. 

La Confederazione ha esplicitamente deliberato in modo estensivo le possibilità dei titolari di permesso S di svolgere attività lucrative al fine di favorirne l’autonomia finanziaria e l’indipendenza(10)

Prima dell’assunzione d’impiego il datore di lavoro deve sollecitare una pertinente autorizzazione presso il Cantone del luogo di lavoro. La richiesta può essere presentata, senza periodo d’attesa, sin dalla concessione dello statuto S. Le persone ricevono una lettera di conferma. Poco tempo dopo ricevono anche il permesso S. Il Cantone verifica che siano rispettate le condizioni salariali e lavorative vigenti. Le persone con statuto di protezione S sono anche autorizzate a esercitare un’attività lucrativa indipendente, sollecitando la pertinente autorizzazione presso il Cantone del luogo di lavoro. Il Cantone esamina se sono soddisfatti i requisiti finanziari e aziendali per l’attività prevista, tenendo conto della situazione particolare della persona bisognosa di protezione.

Le persone con statuto di protezione S, nonostante i limiti posti dall’assegnazione ad uno specifico Cantone, sono anche autorizzate a lavorare fuori dal Cantone di residenza, ottenendo l’autorizzazione di lavoro presso il Cantone del luogo di lavoro. Se il tragitto per recarsi al lavoro è superiore a due ore o se gli orari di lavoro richiedono maggiore prossimità, ciò genera la possibilità di fare domanda di cambiamento di Cantone (cambiamento di luogo di residenza) a condizione tuttavia che la persona non fruisca di prestazioni dell’aiuto sociale né per sé stessa né per i propri familiari. 

Per agevolarne l’avviamento al lavoro, le persone con statuto di protezione S hanno inoltre, almeno formalmente, il diritto di usufruire dei servizi pubblici di collocamento (URC) (11).

 L’iscrizione è possibile non appena ottenuto lo statuto di protezione S. Le persone interessate ottengono una pertinente lettera di conferma. Il permesso S è rilasciato poco dopo.

Viene infine promosso, almeno a livello di principio, il riconoscimento dei diplomi stranieri (ucraini), a condizione che la persona interessata soddisfi i prerequisiti necessari per il riconoscimento professionale, stabiliti a seconda delle professioni dalle regole disposte dalla SEFRI, che fissa condizioni di natura tecnica, legata ai curricula formativi e/o ad un determinato livello di competenza linguistica. Il riconoscimento del diploma è tuttavia avvenuto in un numero limitato di casi e ha comportato molte difficoltà, principalmente in relazione alle compoetenze linguistiche da dimostrare come criterio accessorio. Il che ha creato problemi soprattutto nel caso delle professioni regolamentate in Svizzera, per le quali il riconoscimento rappresenta requisito imperativo; in questo caso la situazione doveva essere esaminata in dettaglio e caso per caso.  

Per altri versi viene liberalizzata per le persone con statuto di protezione S la possibilità di svolgere telelavoro per un datore di lavoro straniero, e in particolare di proseguire l’attività svolta finora per il datore di lavoro in patria o  l’attività lucrativa indipendente svolta sinora senza influsso sul mercato del lavoro svizzero. Queste attività non sono considerate attività lucrative soggette ad autorizzazione e non sottostanno a nessuna procedura di controllo, se non l’obbligo di notificare il reddito conseguito al fine di valutare le condizioni di accesso all’aiuto sociale e di provvedere al pagamento delle imposte in Svizzera (aspetto che sta ponendo alcuni problemi agli uffici competenti)(12).

Nonostante la grande liberalità in materia di accesso al lavoro, il dispositivo messo in campo in questo ambito ha sinora mostrato di essere poco efficace. La precarietà del permesso S produce insicurezza e scarsa possibilità per i datori di lavoro che vogliono assumere persone con statuto di protezione di pianificare il loro inserimento e usare questa leva per rispondere a bisogni strutturali delle imprese. Questo vale anche ai fini di delineare un percorso di apprendistato.

Il fatto che lo statuto di protezione S sia orientato al ritorno e valga fino alla sua abrogazione da parte del Consiglio federale agisce da disincentivo, o peggio sposta le prospettive verso inserimenti altrettanto precari e temporanei nel mondo del lavoro, che non soddisfano le prospettive di molte imprese e tantomeno dei profughi impegnati in un difficile percorso di riposizionamento professionale.

In una situazione di mercato del lavoro caratterizzata da una forte dinamica della domanda di lavoro, a fronte di tensioni crescenti dal lato dell’offerta – acuite dal declino demografico, da disallineamenti tra domanda e offerta di lavoro e in Ticino anche dalla riduzione dei flussi di immigrazione – la presenza di profughi con permesso S, abilitati al lavoro dipendente e indipendente, potrebbe essere accolta con interesse. Tuttavia allo stato attuale i numeri appaiono impietosi: nel maggio 2023 erano state in Ticino 237 le autorizzazioni a svolgere attività lavorativa (al netto del fatto che una parte delle persone presenti ha sicuramente potuto lavorare da remoto senza dover chiedere permessi), e solamente 13 persone risultavano iscritte a Uffici di collocamento. Al di là di un serio bilancio delle reali possibilità di inserimento professionale di gran parte di queste persone, che scontano diverse difficoltà (spesso si tratta di anziani o di madri giunte sole, con figli a carico, di persone che non padroneggiano le lingue nazionali) sono le caratteristiche dello statuto il primo ostacolo da rimuovere se si vuole realmente sviluppare magari in forma pilota l’accesso al mercato del lavoro. L’alternativa appare l’innesco di una spirale negativa di precarizzazione – sofferta anche da molte altre categorie di rifugiati, che vivono costantemente il rischio di essere oggetto di ricatti occupazionali, lavoro nero e dumping salariale dovuto al sottoinquadramento rispetto alle competenze possedute. 

Il tema dell’accesso al lavoro, e con esso dell’integrazione socio-professionale dei profughi ucraini, sarà cruciale nei prossimi mesi, soprattutto a dipendenza dell’evoluzione del contesto della crisi, la cui durata nel tempo sembra ormai lunga, con prospettive sempre più difficili di ritorno in patria per numerosi nuclei famigliari. Di questo le autorità cantonali e l’URAR in prima fila sono consapevoli. Il Cantone, che pure ha lavorato molto bene e tempestivamente attivando la rete di sportelli di consulenza, sta oggi ragionando in termini di favorire l’integrazione socio-professionale di coloro che non potranno presumibilmente rientrare. La rete di sportelli è del resto un punto di riferimento per la realizzazione a vantaggio di tutti coloro che lo desiderino di bilanci di competenza e orientamento, attraverso i quali definire le attese e le potenzialità, rapportarle alle esigenze dei mercati locali del lavoro, e definire piani personalizzati di inserimento, anche mediante formazioni linguistiche e professionali di supporto. Già oggi emerge una crescente domanda di informazione, orientamento e sostegno nella ricerca di sbocchi professionali da parte dei profughi accolti, che si rivolgono ad esempio ai servizi universalistici e “leggeri” come la Città dei mestieri della Svizzera italiana, per progettare un inserimento più stabile e duraturo nella terra che li ha accolti.

Qualche riflessione conclusiva

In tutta Europa, e anche nella nostra area di confine, ci si interroga sugli spazi di innovazione, alla ricerca di nuovi modelli e paradigmi per l’accoglienza e integrazione dei migranti, che possono essere aperti dal modo in cui è stata affrontata l’emergenza ucraina. Essa ha portato l’Europa (e la Svizzera) ad attivare basi legali che esistevano ma non venivano applicate, coordinando un approccio che poi gli Stati Membri (e in Svizzera i Cantoni) si sono incaricati di implementare recependo le indicazioni di principio contenute nelle normative centrali. Certamente hanno giocato un ruolo importante i fattori di contesto: il sentimento di un dramma prossimo, vissuto da cittadini a noi “vicini” per fisionomia e cultura; l’idea che si trattasse di vittime di un conflitto clamorosamente “ingiusto” e mediatizzato, che le vittime da accogliere fossero le componenti più innocenti della società, anziani, madri, bambine e bambini. Tutto questo ha alimentato “buoni sentimenti”, empatia, disponibilità, che tuttavia nel tempo stanno lasciando posto anche ad altre narrazioni e punti di vista. Prima che sia troppo tardi si tratta di trarre lezioni interessanti e trasferibili rispetto alle emergenze globali che ci troveremo ad affrontare in futuro.

Dall’analisi dell’esperienza svizzera e ticinese emergono elementi di convergenza importanti rispetto a quanto sta succedendo in Italia (e in Europa):

  • un’opinione pubblica almeno inizialmente favorevole, influenzata da una narrazione positiva e empatica delle storie personali dei profughi
  • basi legali unitarie e facilmente adottabili in modo coordinato e concertato, su cui fondare nuove intese tra stati che condividono uno spazio comune di gestione della circolazione delle persone (vedi le tensioni che oggi attraversano lo spazio Schengen e i paesi che hanno sottoscritto l’accordo di Dublino)
  • il principio dell’accoglienza gestita a livello di territori e comunità locali, facendo forza sulle reti comunitarie di supporto e mobilitando anche la società civile
  • il principio che ci possa essere un aiuto personalizzato, modulato in servizi e anche trasferimenti finanziari, a sostegno dell’autonomia delle persone, che devono essere messe in grado di accedere al lavoro e ai principali diritti
  • il comune sforzo di integrare pubblico e privato, centro e periferia nei percorsi di accoglienza, pur nella peculiarità dei due contesti sociali e istituzionali
  • lo sforzo più o meno strutturato ma sicuramente comune di scommettere sull’inserimento scolastico dei giovani, anche con ostinazione e mettendo le sedi scolastiche sotto pressione.

L’esperienza svizzera mantiene tratti di specificità e peculiarità che vanno anche ricordati, per poterla utilizzare come pratica interessante. Essa risente del carattere federale del paese, che assegna ai Cantoni responsabilità maggiori di quelle altrove attribuite alle autorità locali. Riflette la disponibilità finanziarie più robuste dello Stato e dei privati, che permettono di generare un’offerta massiccia di risorse a favore dell’accoglienza (ad esempio nel caso del problema degli alloggi). Si fonda su una decisione di “imperio” nell’attribuzione delle persone a una singola destinazione che certamente favorisce la diluizione sul territorio degli sforzi integrativi e evita le concentrazioni critiche ma altrove sarebbe difficile da gestire, e ha comunque i suoi pro e i suoi contro.

L’esperienza svizzera evidenzia punti forti, come ad esempio:

  • la “sintonia negoziata” che si raggiunge tra livelli centrali e locali della governance, 
  • l’efficienza e efficacia di una presa in carico delle persone organizzata e strutturata, un po’ direttiva ma anche rassicurante, da parte dei sistemi burocratici, scolastici, assistenziali
  • la presenza di funzioni e figure professionali competenti e legittimate nelle loro funzioni, che operano sul fronte dell’accoglienza, nelle scuole, nella sanità, nel mondo del lavoro e soprattutto nell’ambito delle strutture pubbliche e private chiamate a prendere in carico i profughi
  • lo sforzo di collaborazione interdipartimentale e interistituzionale, che implica il dialogo costruttivo tra pubblico e privato e attiva le reti comunitarie
  • l’attivazione delle nuove tecnologie nella gestione dell’informazione, dei processi e dei percorsi.

Essa evidenzia per contro punti di debolezza che in parte ritroviamo in altri contesti:

  • senza dare da subito una prospettiva di stabilizzazione della residenza a medio e lungo termine la protezione “temporanea” si traduce in sospensione delle persone nel limbo della precarietà giuridica ed esistenziale; essa rende difficile, o quanto meno disincentiva, la fruizione da parte di attori e stakeholder degli spazi integrativi che pure i diritti generati dal permesso sembrano concedere (vedi per tutti l’esempio dell’accesso al lavoro)
  • la “categorizzazione” e frammentazione di statuti e diritti resa evidente dal “caso speciale” dell’emergenza ucraina, acuirà il rischio di aumentare la dipendenza, piuttosto che l’autonomia e l’indipendenza, delle persone accolte dai regimi di regole e welfare messi in atto per disinnescare le tensioni sociali prodotte dai movimenti migratori che caratterizzano questa incerta fase del mondo. 

Si tratta in altri termini di pervenire ad una programmazione e governance intelligente dei flussi, attenta all’inestricabile integrazione tra fattori push and pull che li motivano, piuttosto che ricercare una segmentazione sempre meno giustificata dei pubblici e dei diritti a seconda dei fattori stessi.

È su questi punti, facendo tesoro delle indicazioni positive, che vale la pena riflettere, per distillare dall’esperienza le pratiche positive di domani.

_______
Note.

1. Queste le persone cui si applica lo status di protezione S secondo la normativa vigente:

  • cittadini ucraini in cerca di protezione e loro familiari (partner, figli minorenni e altri pa- renti stretti sostenuti integralmente o parzialmente al momento della fuga), domiciliati in Ucraina prima del 24 febbraio 2022.
  • Persone in cerca di protezione di altra nazionalità o apolidi e loro familiari come definiti alla lettera a, che prima del 24 febbraio 2022 beneficiavano di uno status di protezione internazionale o nazionale in Ucraina.
  • Persone in cerca di protezione di altra nazionalità o apolidi e loro familiari come definiti alla lettera a, che sono in grado di dimostrare, per mezzo di un permesso di sog- giorno di breve durata o di dimora valido, di avere il diritto di soggiornare in Ucraina e che non possono tornare nel loro Paese d’origine in modo sicuro e durevole.

Nel definire questi gruppi di persone bisognose di protezione la Svizzera si ispira all’UE.

Le persone in cerca di protezione di altra nazionalità che possono rientrare in modo sicuro e durevole nei rispettivi Paesi d’origine o che possono beneficiare di una protezione alternativa ragionevole in uno Stato dell’UE/AELS oppure in Australia, Nuova Zelanda, Canada, negli USA o nel Regno Unito (cittadini ucraini con doppia cittadinanza, coppie e famiglie binazionali) non ottengono lo statuto di protezione S in Svizzera. Possono tuttavia interporre ricorso presso il Tribunale amministrativo federale e possono presentare domanda d’asilo qualora ritengano di essere in pericolo in caso di ritorno nel proprio Paese d’origine. In questo modo è garantita la concessione della protezione della Svizzera a chiunque ne ha bisogno. Le persone che hanno già ottenuto lo statuto di protezione in un altro Stato UE/AELS non ottengono lo statuto di protezione S in Svizzera, a meno che la crisi ucraina non gravi in modo particolare sullo Stato UE/AELS in questione (p. es. Polonia).

2. In linea di principio, nemmeno i viaggi in Ucraina sono vietati. Tuttavia, se la persona protetta soggiorna per più di 15 giorni a trimestre nel Paese d’origine o di provenienza, la SEM può revocare la protezione provvisoria in Svizzera (art. 78 cpv. 1 lett. c LAsi; art. 51 OAsi 1). La SEM non procede alla revoca se la persona straniera ha intrapreso il viaggio (che si protrae per più di 15 giorni a trimestre) per cause di forza maggiore oppure per preparare il ritorno definitivo nel proprio Paese d’origine o di provenienza. Se la persona protetta trasferisce il centro della sua vita in un altro Paese, termina la protezione provvisoria (cfr. art. 79 lett. a LAsi). La SEM prende in esame ogni singolo caso individualmente. Se il soggiorno all’estero dura più di due mesi si presume che la persona in questione abbia trasferito il centro della propria vita, ma questa ipotesi può essere confutata (p. es. in caso di soggiorni per motivi di studio che durano più di due mesi e sono limitati nel tempo o impegni di lavoro all’estero).

3. La Confederazione versa ai Cantoni sovvenzioni sotto forma di somme forfettarie globali per le spese di aiuto sociale sostenute dai Cantoni (cfr. art. 88 cpv. 2 LAsi). L’aliquota di questa somma forfettaria globale equivale a quella versata per i richiedenti l’asilo e le persone ammesse provvisoriamente (cfr. art. 22 OAsi 2). L’importo complessivo delle sovvenzioni è calcolato secondo i medesimi criteri (cfr. art. 23 OAsi 2). Le somme forfettarie sono versate su base trimestrale (cfr. art. 5 cpv. 1 e 2 OAsi 2) a contare dall’attribuzione al Cantone, risp. dall’inizio del mese seguente (cfr. art. 20 OAsi 2). Siccome l’attribuzione cantonale avviene con effetto retroattivo dalla data di presentazione della domanda, di fatto i Cantoni ricevono le somme forfettarie globali sin dalla presentazione della domanda, risp. dall’inizio del mese seguente. I Cantoni ricevono inoltre un contributo forfettario alle loro spese amministrative ai sensi dell’art. 91 cpv. 2bis LAsi, calcolato secondo l’art. 31 OAsi 2.

4. È stata prevista anche l’ospitalità offerta a casa propria da un inquilino o propietario, garantita a titolo volontario e gratuito. Si tratta in questo caso di alloggi che parenti, conoscenti o cittadini su base volontaria hanno messo o mettono direttamente a disposizione dei profughi e che non seguono quindi il percorso previsto dal dispositivo cantonale. In questo caso non é previsto un riconoscimento legato ai costi dell’alloggio presso un privato che offre ospitalità.

5. Il diritto fondamentale alla formazione scolastica spetta a tutti i bambini e ragazzi, indipendentemente dalla loro nazionalità e dal loro statuto di soggiorno. Ciò significa che la scolarizzazione è obbligatoria e gratuita per tutti i bambini che soggiornano in una località svizzera per un periodo di tempo abbastanza protratto.

6. In Ticino, sulla base di una normativa entrata in vigore nel 2021, al termine dell’obbligo scolastico e fino al compimento dei 18 anni o al conseguimento di un certificato federale di formazione pratica, tutte le persone residenti sono tenute anche all’obbligo formativo, ovvero alla frequenza di una scuola postobbligatoria, a tempo pieno o per apprendisti, oppure di un’attività formativa (Legge della scuola, art.6). L’obbligo scolastico e formativo decade automaticamente nel caso di una partenza definitiva dal Canton Ticino.

7. Le persone bisognose di protezione affiliate a un’assicurazione malattia hanno diritto alle prestazioni mediche di base. La scelta del medico è tuttavia limitata. Sono determinanti le indicazioni dell’autorità competente del Cantone di assegnazione. Detta autorità spiega alle persone bisognose di protezione a chi rivolgersi in caso di malattia, infortunio, problemi psichici o gravidanza. Fintantoché una persona bisognosa di protezione non esercita un’attività lucrativa in Svizzera, anche la copertura assicurativa in caso d’infortunio è garantita dall’assicurazione malattia. Se una persona esercita un’attività lucrativa, il datore di lavoro è tenuto ad assicurarla contro gl’infortuni.

8. Cfr. Circolare a tutte le persone con statuto di protezione S, URAR-DSS, Maggio 2023

9. Vedi a titolo di esempio l’articolo dedicato al tema dal social media “Ticino online” nel maggio 2023: https://www.tio.ch/svizzera/attualita/1669787/auto-replaced-url-repurl-text-https-www-tio-ch-attualita

10. Cfr. FAQ SEM riferite all’emergenza ucraina – https://www.sem.admin.ch/sem/it/home/sem/aktuell/ukraine-krieg.html#-1965549268

11. Cfr. FAQ SEM riferite all’emergenza ucraina – https://www.sem.admin.ch/sem/it/home/sem/aktuell/ukraine-krieg.html#-1965549268

12. Cfr. FAQ SEM riferite all’emergenza ucraina – https://www.sem.admin.ch/sem/it/home/sem/aktuell/ukraine-krieg.html#-1965549268

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