Insegnami a fare da sola: il sostegno alle donne vittime di tratta in fuga dallo sfruttamento nel novarese.
Progetti per sostenere l’uscita da situazioni di sfruttamento delle donne vittime di tratta nel Novarese: la collaborazione tra l’Associazione Liberazione e Speranza e Filos (2009-2019).
di Paolo Moroni
La foto che accompagna questo articolo mostra una ragazza, ex vittima di tratta, che sta imparando ad andare in bicicletta. Dietro di lei, visibile solo dall’ombra, una sua compagna la sostiene nei primi metri, pronta a farsi da parte non appena lei si sentirà sicura di sé. Questa immagine è stata scelta perché rappresenta la metafora dello spirito che attraversa tutti i progetti nati dalla collaborazione tra Liberazione e Speranza e Filos: in un contesto protetto, si è cercato di offrire un sostegno discreto ma saldo, ai primi, incerti passi di donne che si sono rese protagoniste assolute del proprio percorso di conquista di autonomia e libertà.
Il fenomeno della tratta a scopo di sfruttamento sessuale, nonostante poco se ne parli da parte dei media e la presenza delle giovani prostituite non sia più così evidente sulle nostre strade come nel passato, è vivo e prospera in Italia. Ne sono testimonianza gli arresti, avvenuti lo scorso giugno, dei membri di un’organizzazione dediti al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e allo sfruttamento della prostituzione. Un’importante base operativa dell’associazione a delinquere aveva sede a Novara, dove sono state arrestate due “maman” a cui è stata anche contestata l’aggravante di avere agito mediante una minaccia attuata attraverso la realizzazione del rito religioso-esoterico del voodoo (vedi articolo RaiNews).
Il fenomeno della tratta a scopo di sfruttamento sessuale
I rivolgimenti che hanno investito l’economia mondiale alla fine del XX secolo hanno ridefinito i movimenti migratori modificandone le traiettorie, ampliandone le dimensioni quantitative e mutandone la composizione etnica, religiosa e professionale. La richiesta di manodopera si è polarizzata da una parte in direzione di elevati standard professionali, dall’altra dilatando a dismisura la richiesta nel settore terziario, in particolare verso le attività più dequalificate. Per quanto riguarda l’Italia, alle correnti tradizionali, provenienti dal Nord Africa e dall’Albania, nei primi anni duemila, si affiancano i movimenti migratori che hanno origine dall’Est Europa, dall’America del Sud e dall’Africa Occidentale, in particolare da quest’ultima area provengono le correnti che rappresentano il paradigma delle migrazioni del nuovo millennio. Con la chiusura dei flussi per motivi di lavoro nell’ultimo decennio, diventano protagonisti dei movimenti verso l’Italia persone che vedono nella richiesta di protezione internazionale l’unica via per entrare nel nostro paese. Inizia così il fenomeno dei viaggi della speranza, prima attraverso il Sahara e poi dalle coste libiche verso l’Italia. Questo nuovo tipo di emigrazione è in buona parte favorito dalla presenza di un traffico internazionale di uomini e donne gestito da organizzazioni criminali che fanno leva sulle aspettative di quanti scorgono nella possibilità di raggiungere le coste del Sud Europa la soluzione ai problemi di sopravvivenza loro e delle loro famiglie. Per raggiungere questo obiettivo sono disposti a pagare a intermediari e trafficanti forti compensi, spesso frutto dei risparmi di intere famiglie.
Un’altra tendenza che accomuna l’Italia e gli altri paesi dell’Europa meridionale, è la crescente partecipazione femminile ai flussi migratori. Le donne che emigrano sole vanno ad inserirsi nelle posizioni più basse del mercato del lavoro, particolarmente nel cosiddetto “terziario umile” che fornisce servizi e cure personali, domestiche, ma anche sessuali (A. Gorz, 1992).
Nel nostro paese l’esempio più evidente del rapporto tra illegalità degli ingressi e caratteristiche del mercato del lavoro è dato dalla dinamica che regola le attività collegate al lavoro domestico e di assistenza. In questo settore la carenza dei servizi pubblici ha stimolato una forte domanda di lavoro femminile immigrato che è andato a coprire i vuoti nelle attività più dequalificate o ritenute tali. Le donne straniere si fanno carico di tutte quelle attività finora portate avanti dalle italiane nell’assistenza, in particolare degli anziani, considerati fino a ieri improduttivi, poiché compito storicodelle donne all’interno della famiglia (M. Ambrosini, 2013).
Sul gradino più basso del “terziario umile” vanno a collocarsi le donne immigrate che forniscono e il più delle volte sono costrette a fornire, ad un mercato che non subisce flessioni, servizi di tipo sessuale. Condizioni di miseria estrema spingono giovani donne, ingannate da organizzazioni criminali, a raggiungere il nostro paese con il miraggio di un lavoro “normale” e ben remunerato che le porta invece a essere prostituite in maniera coatta. L’enorme valore economico della loro attività porta all’estrema conseguenza lo sfruttamento a cui tradizionalmente erano state sottoposte le prostitute nel passato. Si può dunque dire che il fenomeno della riduzione in schiavitù di queste ragazze e della loro “esportazione” verso i paesi occidentali è strettamente legato al fenomeno dell’emigrazione nel suo complesso e ne rappresenta uno dei risvolti più tragici (E. Abbatecola, 2006).
Interventi per sostenere l’uscita da situazioni di sfruttamento nel Novarese: la collaborazione tra Liberazione e Speranza e Filos
E’ in questo contesto che è andata ad inserirsi la collaborazione tra l’Associazione Liberazione e Speranza e l’Agenzia Formativa Filos sul territorio del Novarese, dando vita ad una serie di progetti mirati all’integrazione e all’inserimento socio lavorativo di donne vittime di tratta.
Liberazione e Speranza ONLUS è un’organizzazione nata a Novara e iscritta alla terza sezione del Registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività a favore degli immigrati e che erogano programmi di assistenza e protezione sociale disciplinati dall’articolo 18 del Testo Unico sull’immigrazione (D.Lgs. del 25.07.1998 n. 286). Secondo quanto affermato dallo statuto dell’associazione, essa “opera con l’obiettivo di affermare la giustizia sociale e a garantire il rispetto e la tutela della dignità umana, rivolgendosi in modo specifico delle persone sottoposte a sfruttamento sessuale e a violenza di genere nonché vittime di tratta, attraverso azioni di sensibilizzazione, informazione, formazione, denuncia, promozione del cambiamento e della coesione sociale per la assunzione di responsabilità collettive”.
Filos Ente accreditato presso la Regione Piemonte per la formazione, l’orientamento e i servizi al lavoro, opera a Novara dalla metà degli anni Settanta, prima come IAL Piemonte e dal 2010 con l’attuale denominazione. Nella propria azione, si ispira alla centralità della persona considerata nella sua individualità con proprie caratteristiche, orientamenti e propensioni. Vede nella formazione e nei percorsi di orientamento ed empowerment personale lo strumento principale per l’integrazione socioeconomica dei soggetti svantaggiati del mercato del lavoro.
La sensibilità sui temi dell’inclusione che è andata via via maturando, ha spinto Filos ad avvicinarsi in modo sempre più concreto e operativo ai temi della parità e della violenza di genere, presente sul nostro territorio anche nella sua declinazione più odiosa, rappresentata dalla tratta di esseri umani a fini di sfruttamento sessuale. Questo avvicinamento si è concretizzato attraverso l’incontro e la collaborazione con l’Associazione Liberazione e Speranza e successivamente nella partecipazione a bandi pubblici per la realizzazione di progetti che avessero come tema, da una parte il contrasto alla violenza di genere e alla tratta, dall’altra la valorizzazione del ruolo della donna nel mondo del lavoro.
Miriam Martelli referente per i Servizi al lavoro e operatore antidiscriminazione di Filos descrive le attività frutto della collaborazione tra i due Enti che hanno coperto un intero decennio:
“tra il 2009 e il 2011 un ATS costituita da Liberazione e Speranza e Filos ha gestito il progetto “AAA Lavoro cercasi”, nel biennio 2012-2013 i due enti, in associazione con altri soggetti pubblici e privati, hanno promosso il progetto “Futura” e nel 2017-2019 le due realtà si sono nuovamente unite per dare vita al progetto Joy-un ponte per l’inclusione. Tutte queste attività sono state realizzate su finanziamento del Settore Pari Opportunità della Regione Piemonte”
L’idea alla base degli interventi promossi dai due soggetti è quella di coniugare le politiche attive del lavoro e quelle di Pari Opportunità per dare vita a progetti che mirino a favorire l’accesso al mercato del lavoro di “soggetti femminili svantaggiati”, in questo caso donne straniere, vittime di sfruttamento sessuale e di tratta, inserite in percorsi di integrazione ex articolo 18 del Testo Unico sull’immigrazione.
La referente chiarisce che “queste donne sono accomunate da storie molto simili: attirate da false promesse di un lavoro legale, vittime di organizzazioni criminali, indotte alla sottomissione e alla prostituzione, vivono una triplice forma di discriminazione in quanto donne, straniere e vittime di sfruttamento sessuale”.
Sono persone che, una volta intrapreso il percorso di uscita dallo sfruttamento e proprio a causa di questo stato, incontrano numerose difficoltà nell’inserimento socio-lavorativo. Il lavoro viene dunque inteso come un importante strumento di emancipazione, di dignità e di autonomia per poter costruire e ricostruire, a favore di queste donne, un progetto di vita e di inclusione sociale. Il più delle volte la mancanza di autonomia, di autostima, di professionalità e di istruzione tiene le donne che sono state vittime di tratta in una posizione di dipendenza dal servizio di accoglienza. Per loro non è facile abbandonare l’etichetta di vittima di tratta e di sfruttamento sessuale e ancora più complicato trovare un’occupazione.
“I progetti rivolti a queste donne” continua Miriam Martelli “hanno cercato di dare risposta ad un bisogno di autonomia che significa, in primo luogo, dare sostegno all’autostima, far emergere le capacità inespresse, valorizzare le competenze, riconoscere la persona nella sua individualità. Per queste donne non si tratta infatti solo di una questione economica, ma soprattutto di identificare l’esercizio di una professione adeguata in grado di valorizzarle e motivarle”
In quest’ottica, le azioni intraprese all’interno dei tre progetti miravano a creare uno spazio di ascolto, gestito da orientatrici con competenze psicologiche, dove le ragazze potessero esprimere e far emergere aspettative formative e lavorative, speranze, insicurezze e paure, cercando al contempo di offrire loro risposte personalizzate. Ciò è avvenuto predisponendo forme di orientamento e accompagnamento, counseling, bilancio di competenze, formazione, inserimento nel mercato del lavoro attraverso l’attivazione di tirocini lavorativi, tutoraggio, sostegno al reddito, mediazione interculturale. Si tratta di sfide ambiziose che miravano da un lato a sostenere la persona nella costruzione di una nuova identità sociale e professionale e dall’altro a scardinare pregiudizi di istituzioni e collettività, che molto spesso si chiudono alla diversità e non offrono possibilità di riscatto. L’Obiettivo generale dei progetti è stato quello di realizzare uno spazio di accoglienza, ascolto e orientamento in grado di costruire un percorso che partendo dal recupero dell’autostima, delle capacità individuali e dall’acquisizione di nuove competenze, conduca le partecipanti verso un esercizio consapevole della propria autonomia sia personale che economica.
“Fino ad un certo punto della loro vita”, dice ancora la referente di Filos “il lavoro è stato vissuto come strumento di schiavitù e nel corso delle attività progettuali esso può essere considerato come un percorso troppo difficile da praticare. La carenza di integrazione, l’incapacità individuale di valorizzarsi e riconoscere le proprie competenze, porta ad un rinforzo del processo di isolamento ed emarginazione. Per questo motivo per ciascuna donna sono stati attivati percorsi individualizzati in cui la creazione di un legame basato sulla fiducia reciproca tra orientatrice e utente portasse a sviluppare la conoscenza di sé e a promuovere l’autostima necessaria a favorire una vera integrazione sociale. Si è operato molto sulla rappresentazione del lavoro di queste donne, spesso condizionate da schemi culturali poco utili ad affrontare in modo idoneo il percorso di inserimento socio lavorativo. Le orientatrici hanno poi lavorato con l’obiettivo di scardinare un approccio poco aderente alla realtà del mercato del lavoro frutto di una visione idealistica delle competenze che le ragazze ritenevano di possedere, con l’obiettivo della costruzione di un progetto lavorativo concreto e adeguato alle reali competenze della persona, magari raggiungibile attraverso il supporto di opportuni percorsi di formazione.
Percorsi di vita: per ricominciare…una via di uscita c’è
Grazie alle dichiarazioni raccolte dalle operatrici di Liberazione e Speranza e finalizzate alla presentazione presso la Procura della Repubblica della documentazione necessaria al parere favorevole per il rilascio da parte della Questura dello speciale permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, è stato possibile ricostruire i percorsi di vita delle ragazze che hanno partecipato al progetto “AAA Lavoro cercasi”. Le testimonianze sono state presentate, ovviamente in forma anonima, durante il seminario conclusivo del progetto dal titolo “Per ricominciare…una via di uscita c’è” e rappresentano la storia della progressiva presa di coscienza di queste donne e della loro liberazione dalla schiavitù.
Tutte le ragazze che hanno partecipato al progetto sono nate e provengono da Benin City, Nigeria. La città è un importante porto sul fiume Benin, è il centro dell’industria nigeriana della gomma. Ha oltre un milione di abitanti, per la maggior parte giovani e giovanissimi. Grazie alle sue industrie, rappresenta un polo di attrazione per coloro che lasciano le campagne circostanti. Queste persone per la maggior parte non trovano un lavoro in città e vanno ad ingrossare le fila dei disoccupati e degli aspiranti migranti.
Studio e lavoro in Nigeria: bassa scolarizzazione, poi occupazioni saltuarie e poco remunerate. I percorsi scolastici delle ragazze sono vari, ma per la maggior parte livellati verso il basso. Dopo la scuola nessuna ha svolto un lavoro dipendente o regolarmente retribuito. Si trattava in genere di occupazioni saltuarie, di aiuto al reddito della propria famiglia, spesso molto numerosa. Una situazione lavorativa precaria e poco remunerata ha rappresentato il principale fattore espulsivo e ha spinto le ragazze ad accettare l’offerta di partire.
La proposta di partire per l’Italia viene da persone fidate e conosciute, in alcuni casi parenti stretti.La proposta è venuta in genere da figure vicine alle ragazze (fidanzato, amiche), oppure alla loro famiglia (zii e zie, amici dei genitori e dei fratelli). Si è trattato solo di un primo contatto, che tuttavia ha avuto una grande importanza perché ha dato credibilità alla proposta e ha tranquillizzato le ragazze rispetto a sospetti e insicurezze. Molte testimonianze descrivono un sospetto rispetto all’eventualità di essere costrette a prostituirsi e la conoscenza del fatto che alcune connazionali sono state vittime di organizzazioni criminali. Ma il rapporto di fiducia nei confronti delle persone da cui viene la proposta è determinante nella scelta di intraprendere ugualmente il percorso di migrazione. Dopo l’approccio effettuato da persone di fiducia, le ragazze sono state messe in contatto con un rappresentante dell’organizzazione che si sarebbe occupata dei passaggi necessari al viaggio.
Tutte le ragazze prima della partenza sono state sottoposte ad un rito voodoo. Le ragazze inizialmente vengono invitate a sottoporsi al voodoo come momento propiziatorio alla loro partenza. Il rito si rivela invece il suggello di un patto che le ragazze si trovano a sottoscrivere senza averlo voluto. Durante il rito sono costrette a promettere obbedienza e sottomissione e ad impegnarsi a restituire il denaro che servirà per pagare il loro viaggio. Se verranno meno al giuramento saranno vittime di malattie, incidenti, sofferenze e la loro famiglia sarà colpita da sventure e lutti. Il rito incute in chi lo subisce terrore ed angoscia e determina una schiavitù psicologica, infatti la credenza nel voodoo è radicata profondamente nella cultura e nella vita di queste donne.
Gli itinerari del viaggio per arrivare in Italia. I percorsi che hanno seguito le ragazze sono molti e soggetti a cambiamenti e modifiche. Sono stati scelti dai gruppi criminali che gestiscono il traffico in base alla loro organizzazione, alle convenienze del momento, alla disponibilità di denaro per la falsificazione dei documenti o la corruzione delle forze dell’ordine. La durata del viaggio varia da caso a caso: alcune ragazze hanno raggiunto direttamente l’Italia partendo da Lagos in pochi giorni, altre hanno seguito itinerari più tortuosi e sono arrivate nel nostro paese dopo alcuni mesi, in un caso il viaggio è durato un anno.
La scoperta del vero scopo del viaggio. Il lavoro promesso, rimasto sullo sfondo durante tutto il periodo del viaggio, si mostra all’improvviso nella sua cruda realtà all’arrivo in Italia. È la madam, nella maggior parte dei racconti, che spiega che per una ragazza nigeriana, senza documenti, soldi, casa e che non parla italiano, non esiste la possibilità di un lavoro dignitoso e che l’unica via per pagare, in breve tempo, il debito contratto è il lavoro in strada. Le reazioni descritte sono diverse, in genere di rassegnazione, ma alcune volte di ribellione e rifiuto. Alla fine tutte sono costrette a cedere.
Il prezzo del riscatto. Le cifre richieste come prezzo del riscatto vanno dai 30.000 ai 65.000 euro. Importi considerevoli, con cui vengono pagati tutti i protagonisti della tratta. C’è in molti casi una confusione tra naria (la moneta nigeriana) ed euro (1 euro corrisponde a 390 naria circa). Le ragazze sono al corrente che dovranno restituire l’importo anticipato, ma pensano di poterli restituire grazie al lavoro promesso e spesso sono convinte che le cifre richieste siano in naria,. A loro viene richiesto di guadagnare al giorno circa 300/400 euro, il che significa incontrare almeno una decina di clienti. Se questo non avviene, la reazione della madam diventa violenta con percosse, insulti e minacce alla famiglia.
Una vita sulla strada. Le ragazze in genere sono prostituite lontano dal luogo in cui vivono. Viaggiano con i mezzi pubblici, da sole o in compagnia di altre connazionali. Le ragazze raccontano di aver subito furti e di essere state minacciate o picchiate da clienti. Le giornate sono descritte come tutte uguali: il risveglio, il viaggio, il lavoro, le difficoltà come ad esempio resistere al freddo dell’inverno. Il guadagno diventa l’unico scopo della vita. Le avvicina alla meta, al pagamento del riscatto e all’essere libere. Tutte vivono un forte isolamento in cui le occasioni di contatto con la società di accoglienza risultano limitate o nulle. Nessuna di loro ha modo di imparare la lingua italiana. Questi fattori costituiscono, con il condizionamento legato al debito, il limite principale nell’individuazione di alternative alla vita di strada.
L’incontro con l’associazione e la speranza di una nuova vita. Dalle testimonianze emerge che il periodo durante il quale sono state prostituite è variato dai tre anni a pochi mesi, Nei racconti il momento decisivo è stato facilitato da una serie di condizioni favorevoli. Il contatto con Liberazione e Speranza è avvenuto a volte per il tramite di amiche nigeriane o persone incontrate casualmente, altre dopo un fermo di polizia o addirittura su segnalazione di un cliente. La decisione di liberarsi è stata comunque determinata dall’impossibilità di continuare una vita intollerabile, ma anche sostenuta da un desiderio di libertà che si è dimostrato più forte di tutte le minacce fisiche e le costrizioni psicologiche.
La foto che accompagna questo articolo mostra una ragazza che, nel cortile di Filos, sta imparando ad andare in bicicletta. Dietro di lei, visibile solo dall’ombra, una sua compagna la sostiene nei primi metri, pronta a farsi da parte non appena lei si sentirà sicura di sé. E’ stata scelta perché rappresenta una metafora dello lo spirito che attraversa tutti i progetti nati dalla collaborazione tra Liberazione e Speranza e Filos: in un contesto protetto, si è cercato di offrire un sostegno discreto ma saldo, ai primi, incerti passi di donne che si sono rese protagoniste assolute del proprio percorso di conquista di autonomia e libertà.
André Gorz, Metamorfosi del lavoro salariato, Bollati Boringhieri, Torino, 1992
Maurizio Ambrosini, Immigrazione irregolare e welfare invisibile, Il Mulino, Bologna, 2013
Emanuela Abbatecola, L’altra donna. Immigrazione e prostituzione in contesti metropolitani, F.Angeli, Milano 2006
Le testimonianze delle donne aderenti al progetto “AAA Lavoro cercasi” sono raccolte nel volume:
Paolo Moroni, Ilaria Ferrero, Femminile plurale – Quindici anni di progetti a favore delle donne vittime di tratta e di violenza, Filos, Novara, 2018