La governance della fiducia nell’accoglienza e nell’integrazione dei richiedenti asilo
Le esperienze di accoglienza e di integrazione dei richiedenti asilo raccontano storie di persone provenienti da diversi continenti, che si trovano a condividere luoghi e percorsi.
di Luca Bergamasco
Da quando un Migrante Richiedente Protezione Internazionale (MRPI) è introdotto nel sistema di accoglienza sul territorio italiano vive luoghi e relazioni molto variegate, ma soprattutto determinate dalle scelte di governance di istituzioni che non lo conoscono. Le leggi che governano la permanenza di stranieri in Italia non prevedono la conoscenza delle persone di cui si occupano e la loro condizione economica, sociale, psicologica: si orientano in primo luogo a tutelare la cittadinanza italiana e il mantenimento della sicurezza, garantendo gli interessi dello Stato.
Essere inviato ad un Centro di Accoglienza Straordinaria (CAS) significa ritrovarsi in un piccolo paese o in una grande città, affidato ad una cooperativa sociale oppure ad un ente pubblico, alla Caritas o alla Croce Rossa. Ma la destinazione di approdo del proprio percorso migratorio non prescrive quanto accadrà. Le scelte delle modalità di accoglienza sono formulate all’interno del quadro normativo del Ministero dell’Interno ma vedono realizzazioni multiformi a seconda dell’impostazione scelta dall’ente gestore di riferimento.
Perché parlare di fiducia
L’esperienza dei servizi di accoglienza si affianca, in molti aspetti peculiari, al lavoro umanitario svolto nei luoghi di conflitto armato da autorevoli Organizzazioni Non Governative. In particolare, sul sito L’Osservatorio, Centro di ricerche sulle vittime civili dei conflitti, Iffat Tahmid Fatema, operatrice umanitaria di OXFAM in Bangladesh, sottolinea un aspetto centrale delle relazioni d’aiuto con migranti e rifugiati: “Il lavoro umanitario riguarda anche la costruzione della fiducia. Devi essere sensibile alla cultura e alle tradizioni locali e devi essere un buon osservatore, solo così puoi provare a capire come la gente pensa. In questo lavoro, la pazienza è una grande virtù. Quando fa molto caldo o piove a dirotto o sei stanco, potresti non aver voglia di passare un’altra lunga giornata nei campi. Ma poi pensi ai rifugiati e al modo in cui lavori per loro – questo ti motiva ad andare avanti”.
Il lavoro quotidiano degli operatori dei centri di accoglienza necessita inoltre di credibilità e affidabilità per essere efficace: i migranti devono avere la possibilità di incontrare persone dotate di integrità e che possano testimoniare professionalità, principi e coerenza. Iffat continua: “Per lavorare con i rifugiati, sono necessarie buone capacità comunicative e iniziativa. Devi essere in grado di parlare con diversi gruppi di persone in modi diversi, dai bambini agli anziani e agli imam […] A volte i rifugiati possono sentirsi a disagio con qualcuno che non è come loro… per questo mi aiuta il parlare un linguaggio simile al loro”.
Accogliere e integrare: quanto conta la fiducia
“Essere gentili non vuol dire essere ingenui o sprovveduti, ma approcciare le interazioni con l’apertura e la tolleranza necessarie a far maturare possibilità inedite di crescita individuale e sviluppo sociale”. Con queste parole Ennio Ripamonti (2018), esperto di processi partecipativi, sottolinea come la qualità dell’approccio relazionale determini l’esito degli interventi e dei possibili sviluppi successivi: un operatore sociale sceglie le modalità comunicative e relazionali che possano sostenere il processo di cura, assistenza e cambiamento che sta mettendo in atto, in modo che la persona che ha di fronte possa scorgere la possibilità di migliorare la propria condizione.
Alimentare la fiducia richiede il supporto di chi si occupa di processi di collaborazione e partecipazione. Ennio Ripamonti, insieme al suo gruppo di lavoro, ha delineato alcuni aspetti essenziali per comprendere la portata della fiducia nei servizi di accoglienza e integrazione per migranti.
“Una variabile determinante su questo terreno è la fiducia, un fenomeno che si viene a generare nelle situazioni in cui sono presenti aspettative di reciprocità di lungo periodo. Ritroviamo qui i caratteri di un’aspettativa di esperienza con valenza positiva per il soggetto: ognuno di noi fidandosi nel presente fa una scommessa sul futuro, poiché la fiducia può sempre essere tradita, o mal riposta”.
All’interno di un CAS o di uno SPRAR/SIPROIMI, la qualità della collaborazione tra un operatore e un migrante definisce la portata e l’esito del percorso di integrazione che si sta realizzando poiché, se entrambi riconoscono nell’altro una persona coerente e responsabile, potranno investire maggiore professionalità e impegno, riuscendo quindi a veder realizzata la percezione di un esito positivo.
In un altro passaggio, Ripamonti sottolinea che “la fiducia può maturare anche in frangenti difficili e incerti se è accompagnata da un alto livello di coinvolgimento dei soggetti, da un’intensità emotiva e cognitiva che permette di andare oltre la soglia della mera speranza; per collaborare dobbiamo poterci fidare e l’esito della fiducia attribuita è la disponibilità a mettersi in gioco in una relazione cooperativa”.
La fiducia si struttura seguendo stadi progressivi, a partire dalla valutazione degli interessi e dal livello di considerazione dell’altro; un secondo passaggio si fonda sulla sedimentazione della conoscenza e sulla prevedibilità dell’interlocutore, approdando possibilmente alla coincidenza di desideri e intenzioni.
Nel suo testo, “Collaborare. Metodi partecipativi per il sociale”, Ripamonti condivide un ultimo pensiero sulla fiducia:
“La fiducia consiste in tre elementi. Se pensate che io sia autentico, è più probabile che mi diate fiducia. Se pensate che ci sia un vero rigore nella mia logica, avrete anche maggiore fiducia in me. E se pensate che la mia empatia sia diretta nei vostri confronti, vi fiderete di me ancora di più. Quando tutti questi tre elementi funzionano, abbiamo una grande fiducia. Ma se uno di questi elementi vacilla, se uno dei tre tentenna, la fiducia è in pericolo. L’ostacolo più comune è l’empatia, quando le persone non credono che stiamo facendo qualcosa per loro e sono convinte che lo facciamo per noi stessi”.
Gli enti gestori sono quindi chiamati a mantenere e proteggere la fiducia costruita con molta pazienza tra l’operatore e il migrante. La rete di relazioni tra enti che realizzano il sistema di accoglienza e i servizi di integrazione è ugualmente coinvolta dalla fiducia: per quanto si possano creare e organizzare azioni condivise, con ruoli strutturati e coordinati fra loro, finanziati per un lungo periodo affinché permanga sul territorio, tutto ciò non garantirebbe la qualità e l’efficacia.
Esperienze … che mettono al centro la fiducia
Le esperienze di alcune realtà territoriali piemontesi raccontano di possibili modalità di governance dell’accoglienza e dell’integrazione fondate su principi virtuosi e soprattutto sulla fiducia reciproca.
Il Consorzio CISS-Ossola, che mira al raggiungimento del benessere del richiedente asilo e insieme della collettività, ne è un esempio. Come raccontato in un precedente articolo sull’operato del Consorzio dei servizi sociali della Val d’Ossola, il sistema di accoglienza messo in opera persegue l’obiettivo di riuscire a fare in modo che il benessere dei Richiedenti Asilo ricada in maniera significativa sul benessere della collettività, e viceversa. In funzione di ciò, si determina un complesso apparato di servizi e relazioni territoriali che ruotano intorno al migrante, con lo scopo condiviso di accompagnarlo verso l’autonomia economica e sociale nel territorio in cui si trova.
Il buon esito di questa esperienza poggia le fondamenta sia sulla qualità del lavoro sociale operato dal personale del Consorzio, sia sulle relazioni costruite e mantenute nel tempo. La Val d’Ossola gode di una conformazione morfologica chiusa tra le montagne che impone alle realtà presenti, pubbliche e private, di ritrovarsi continuamente, in occasione di qualunque evento accada sul territorio, periodico o emergenziale. Questo favorisce la conoscenza reciproca, la condivisione di percorsi e le relazioni di collaborazione.
In un simile contesto, l’attivazione di servizi pubblici rivolti a Migranti richiedenti protezione internazionale (MRPI) da parte di un Ente Pubblico si è resa possibile grazie alle buone relazioni tra enti pubblici e privati, ma soprattutto tra il personale di tali enti. Tutto ciò non ha evitato l’emergere di contraddizioni, criticità e opposizioni, ma ha giovato della partecipazione attenta di donne e uomini che hanno impegnato disponibilità e lavoro affinché l’iniziativa virtuosa di alcuni non fosse sprecata o vanificata.
I racconti dei protagonisti di questa esperienza hanno fatto emergere un aspetto indispensabile delle relazioni d’aiuto: la fiducia reciproca tra chi porta bisogni e chi mette in atto processi per rispondere efficacemente a quei bisogni stessi. I protagonisti di tale reciprocità sono sia il personale di enti pubblici, sia di cooperative sociali, formatori professionali e insegnanti di lingua italiana, imprenditori e pubblici ufficiali, frequentatori di parrocchie, volontari di associazioni e cittadini che si riuniscono in modo spontaneo.
Anche il caso dell’Associazione 20.01, costituitasi ufficialmente nell’estate del 2019, racconta come le buone intenzioni di un gruppo di cittadini hanno generato storie di relazioni e fiducia tra persone. Nel 2016, un insegnante del CPIA di Domodossola comprende la necessità di un aiuto per implementare la formazione linguistica ai MRPI. Una trentina di cittadini volontari si mettono a disposizione per supportare il CPIA nell’insegnamento della lingua italiana, arrivando successivamente a stipulare una convenzione con il CPIA per accedere ai corsi A1 e A2. L’attività di supporto linguistico si svolge principalmente nelle strutture di accoglienza del territorio, gestite dal Consorzio Ciss Ossola. La presenza quotidiana dei volontari ha permesso lo sviluppo di relazioni personali con i migranti, dando valore ai progetti di accoglienza e potenziando l’efficacia dei percorsi di integrazione.
Il nome dell’Associazione nasce da un evento particolare. In seguito ad un’ordinanza del Sindaco di Domodossola che ha vietato la circolazione dei MRPI dopo le ore 20, i volontari e molti altri cittadini hanno manifestato il loro dissenso per esplicitare il bisogno diffuso di far sentire che qualcuno la pensa diversamente. Il nome scelto per l’associazione sottolinea la volontà di oltrepassare la demagogia e sostenere valori di accoglienza, giustizia sociale, uguaglianza, libertà.
La fiducia ricopre una funzione particolarmente importante anche nei casi di vittime di violenza, categoria alla quale appartengono troppo spesso i migranti, in cui spesso le vittime non raccontano la propria storia e i crimini subiti, rischiando di sottostimare la gravità delle loro esperienze: questa chiusura comunicativa può compromettere la comprensione dei comportamenti post-traumatici messi in atto dalle vittime.
Miriam Martelli, responsabile servizi al lavoro presso Filos Formazione di Novara, dichiara che “la fiducia si costruisce nel tempo, con la prossimità e con azioni prevedibili finalizzate ad obiettivi chiari”. Dal punto di vista di un servizio di orientamento e accompagnamento al lavoro sono tuttavia diversi gli elementi che possono giocare a sfavore della creazione di fiducia ai vari livelli: il tempo a disposizione è poco, spesso limitato e scandito dai tempi dei bandi; solitamente i finanziamenti pubblici sono altalenanti precludendo la possibilità di dare continuità al servizio offerto e svolgere le azioni che l’utente si aspetta. Inoltre Martelli sottolinea che “la distanza tra ente finanziatore ed enti erogatori di servizi non facilita la collaborazione fiduciosa in vista dell’obiettivo comune. Laddove ci sono conoscenza e relazione consolidate, quando tra enti e operatori non ci sono diffidenza e necessità di controllo sanzionatorio, è possibile condurre progetti di reale sviluppo”. Queste criticità ricadono sull’utente, soprattutto se fragile, che necessita di una rete a maglie ben salde.
Conclusioni
Luis Sepúlveda, in Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, racconta di una gabbiana morente che depone un uovo e chiede ad un gatto di farle tre promesse: non mangiare l’uovo, prendersi cura del piccolo che ne nascerà e insegnargli a volare. Le tre promesse impongono un’assunzione di responsabilità, ma sono intrise della fiducia estrema della gabbiana morente verso un gatto che rappresenta l’alterità più assoluta, peraltro sconosciuta.
Essere un operatore pubblico, inserito in un’equipe migranti, richiede l’investimento di una fiducia non negoziabile da parte dell’Istituzione pubblica, che affida un triplice compito di tutela, di cura e di promozione di persone di altri Paesi.
Riferimenti
L’Osservatorio, L’importanza della fiducia nell’azione umanitaria, http://www.losservatorio.org/it/pubblicazioni/in-focus/item/1504-l-importanza-della-fiducia-nell-azione-umanitaria
E. Ripamonti, Collaborare. Metodi partecipativi per il sociale, Roma, Carocci, 2018