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Perché la formazione è essenziale nel campo dell’accoglienza

Perché la formazione è essenziale nel campo dell’accoglienza

Anche per le conseguenze della pandemia di Covid-19 è sempre più importante investire sulle professionalità nel campo dell’accoglienza

di Orlando De Gregorio

In questi ultimi due anni, abbiamo raccontato le buone pratiche di accoglienza diffusa che sono state realizzate in Piemonte grazie alla mobilitazione di enti locali e organizzazioni del Terzo Settore radicate sul territorio e al sostegno della Regione Piemonte (partner del progetto Minplus). D’altra parte, il confronto con il sistema di accoglienza ticinese e con l’implementazione dell’ambiziosa Agenda Integrazione della Confederazione Elvetica ha messo maggiormente in evidenza la frammentarietà e discontinuità che caratterizzano, nonostante le eccellenze locali, le politiche volte all’inclusione dei migranti e dei richiedenti asilo nel nostro paese.

Abbiamo denunciato, basandoci sulle testimonianze raccolte sul campo e facendo riferimento ad una ampia reportistica, le conseguenze dello smantellamento dell’accoglienza diffusa derivata dal Decreto Sicurezza e dai tagli economici ai centri di accoglienza; e anche nella delicata fase di lockdown abbiamo invitato a riflettere su come l’emergenza Covid-19 impattasse sulla vita dei richiedenti asilo e MSNA (facendo riferimento ai dati raccolti da Amnesty International, Action Aid e ASGI). 

Non abbiamo smesso di interrogarci su questi temi neanche durante la pausa estiva e abbiamo infatti incontrato, insieme a Ilaria Ferrero e Paolo Morini di Filos Formazione Novara, Simone Andreotti della Cooperativa InMigrazione. Insieme abbiamo parlato di formazione degli operatori dell’accoglienza. Proprio a partire dal tema fondamentale della formazione vogliamo rilanciare il nostro approfondimento sulla governance di questo fenomeno.


La formazione nel campo dell’accoglienza dei migranti

La cooperativa InMigrazione di Roma è nata nel 2015 e in questi anni si è distinta per avere coniugato la qualità della formazione con la ricerca sulle condizioni di vita dei migranti, richiedenti asilo, rifugiati, lavoratori, irregolari al fine di migliorare ed innovare le politiche di accoglienza e inclusione.

Ma, che cosa significa formare gli operatori dell’accoglienza oggi? Secondo Simone Andreotti, il nostro Paese sconta un forte ritardo rispetto al tema della formazione nel campo dell’accoglienza e integrazione. E ciò riguarda anche le pratiche migliori. Infatti, il modello più virtuoso di accoglienza che vede i migranti come una risorsa per il territorio che si è diffuso negli anni rappresenta la via maestra per un’effettiva integrazione e per una governance del fenomeno che sia insieme sostenibile ed efficace per le comunità e per i migranti, ma richiede un forte investimento nella formazione specifica degli operatori. E non sempre questo è stato adeguatamente riconosciuto.

Non si tratta soltanto di formare gli operatori alla conoscenza degli aspetti giuridici e procedurali; e non è sufficiente neanche declinare le proprie competenze (di assistente legale, insegnate di italiano L2, di operatore sociale) in base alle specificità della vita e dei percorsi dei migranti forzati che vivono una condizione di spaesamento e vulnerabilità. Si tratta di formare gli operatori a lavorare in una comunità, quella dei centri di accoglienza, e in equipe. Per questa ragione Simone Andreotti definisce l’operatore dell’accoglienza un operatore delle relazioni.

L’operatore che conosce e visita gli appartamenti dove vivono i migranti, che li aiuta nel disbrigo degli aspetti pratici della vita quotidiana, si trova a fronteggiare moltissime aspettative. Per questa ragione la consapevolezza da parte dell’ospite delle competenze specifiche e dei ruoli dei vari operatori, e insieme l’instaurarsi di un clima di fiducia sono fondamentali. 

L’obiettivo non è solo quello di sostenere i più motivati o coloro che sono dotati di maggiori strumenti e che riuscirebbero ad inserirsi comunque nella nostra società, ma si tratta di lavorare sull’insieme degli ospiti di un centro affinché nessuno si senta escluso. Per questa ragione, la formazione che offre InMigrazione coinvolge – attraverso role play e attivazioni esperienziali – coloro che già lavorano sul campo. In questa direzione, ci si propone di far maturare quell’insieme di competenze relazionali e culturali che sono fondamentali per adattare le proprie modalità di lavoro al contesto mutevole, dal punto di vista sociale, economico e giuridico, in cui i migranti si vengono a trovare.


L’inclusione dei migranti e le prospettive a seguito della pandemia

Certamente l’esperienza del lockdown, il rallentamento e la sospensione di tutte le attività ha costituito un’ulteriore criticità che ha pesato e pesa sulle spalle degli operatori, che va ad aggiungersi allo smantellamento e al definanziamento delle migliori pratiche di accoglienza diffusa. Quale Italia hanno conosciuto i migranti inseriti in grandi centri ormai ridotti a luoghi di desolazione e attesa? Quale Italia hanno conosciuto durante i mesi dell’emergenza sanitaria? Quale Italia conoscono ora in tempi nei quali le conseguenze economiche del Covid-19 rischiano di peggiorare ulteriormente le storture del mercato del lavoro e i fenomeni di marginalizzazione? L’accoglienza e l’integrazione si ritrovano di fronte una strada in salita.

Però queste criticità rendono ancora più evidente un dato di fatto che è anche l’apprendimento di anni di lavoro sul campo: l’inserimento sociale passa soprattutto dalla qualità delle relazioni tra i migranti stessi, tra i migranti e gli operatori, e tra l’intero mondo dell’accoglienza e i territori e le comunità che li circondano.

Un migrante forzato che vive una condizione di spaesamento, che ancora non ha elaborato i traumi che ne accompagnano la fuga dal paese di origine, riuscirà ad imparare più facilmente e velocemente l’italiano e magari avrà più chance di successo in un tirocinio – ci dice Andreotti – quanto più sarà presente in lui o lei una forte motivazione. Si tratta della motivazione a far parte del paese in cui si viene a trovare. Questa motivazione non è un dato meramente individuale perché questa molla scatta se la vita e le relazioni che incontri nel nuovo paese sono positive.

Dunque, la capacità di gestire i conflitti e di favorire relazioni positive sarà ancora più essenziale dopo il vuoto progettuale lasciato dal Covid-19. Inoltre, il drastico peggioramento della qualità della prima accoglienza rende il lavoro degli operatori del SIPROIMI, la seconda accoglienza destinata a rifugiati e MSNA, ancora più arduo.

Serve dunque un investimento forte nella formazione degli operatori. Questo investimento rappresenta un cambio culturale rispetto ad una visione vecchia, e che sembrava superata, dell’operatore dei centri di accoglienza: quella di una figura incaricata di mantenere un apparente ordine dentro luoghi di desolante attesa. Ha fatto faticosamente strada negli anni la convinzione, surrogata dai fatti e dalle esperienze più virtuose, che invece l’operatore dell’accoglienza rappresenti una figura di grande rilevanza per il benessere dei migranti e dei territori nei quali vengono accolti.

Per questa ragione Minplus riparte dalla formazione propendo una serie di corsi gratuiti di formazione sui temi emersi in questi ultimi mesi, che saranno tenuti da formatori professionisti della cooperativa InMigrazione; il Covid-19 rappresenta una sfida difficile anche per la formazione e per questa ragione sono ancora in via di definizione le modalità di erogazione del corso. Torneremo ad informarvi presto.

Un buon operatore dell’accoglienza sa lavorare in un’organizzazione complessa e contribuisce a far funzionare questa organizzazione. Come avevamo già scritto, l’accoglienza è infatti un mestiere! Per avere aggiornamenti in merito al progetto Minplus è possibile rivolgetevi all’indirizzo formazione.minplus@filosformazione.it

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