Percorsi di accoglienza nelle aree montane: il caso dello SPRAR di Vogogna
Lo SPRAR di Vogogna nasce nel 2017 a seguito di un Protocollo di intesa sottoscritto, oltre che dal comune di Vogogna, da quelli di Ornavasso, Premosello Chiovenda e Pieve Vergonte, tutti situati nella media Valle dell’Ossola e facenti parte, per quanto attiene la gestione dei servizi socioassistenziali, del Consorzio dei Servizi Sociali del Verbano. I quattro comuni hanno attualmente una popolazione complessiva di circa 9.600 residenti, dei quali circa 400 sono cittadini stranieri.
di Paolo Moroni e Luca Bergamasco
Sul territorio del comune di Vogogna, già a partire dall’anno 2015, era presente un Centro di Accoglienza Straordinaria (CAS) gestito, a seguito di affidamento da parte della prefettura del Verbano Cusio Ossola, dalla cooperativa sociale Versoprobo di Vercelli.
Il CAS di Vogogna, insieme ad altri programmi di accoglienza presenti nelle zone montane del Piemonte, è stato oggetto nei primi mesi del 2017 di uno studio, promosso dalla Compagnia di San Paolo e svolto nell’ambito del Programma triennale “Torino e le Alpi”: la ricerca era finalizzata a verificare il possibile ruolo dei comuni montani nella gestione del fenomeno dell’accoglienza e integrazione di richiedenti asilo e rifugiati. Gli esiti della ricerca sono stati successivamente raccolti in un volume dal titolo “Montanari per forza – rifugiati e richiedenti asilo nella montagna italiana” edito da Franco Angeli nel 2018.
Come si legge nell’introduzione al volume, l’idea di realizzare la ricerca è partita:
“due fenomeni contrapposti in atto nelle zone montane del nostro Paese e dalla sfida di cercare di capire se questi fenomeni possono o meno essere messi in relazione tra di loro”. Da una parte le valli alpine sono state oggetto, a partire dal Secondo dopoguerra, di un drammatico spopolamento, con il conseguente abbandono del territorio, dall’altra, a partire dal 2014/2015, la definizione da parte dello Stato di un piano di ripartizione, sul territorio dei comuni italiani, dei richiedenti protezione internazionale, ha portato al collocamento di circa il 30% di loro nei territori montani, alpini e appenninici, protagonisti dello spopolamento e dell’abbandono degli ultimi decenni.
“La sfida accolta dal progetto di ricerca” continuano gli autori “è quella di verificare sul campo se l’incontro di queste due spinte contrapposte possa almeno configurarsi in una sorta di equilibrio in cui i bisogni del territorio vengano a collidere con quello delle persone”.
In relazione al CAS di Vogogna il caso analizzato dalla ricerca è riferito ad un progetto promosso dal Comune, dalla cooperativa Versoprobo e dalla Parrocchia e mirato a fronteggiare lo stato di tensione venutasi a creare in paese a seguito dell’arrivo di 26 richiedenti asilo, per la maggior parte provenienti dai paesi dell’Africa sub sahariana.
Il loro arrivo dall’hotspot di Settimo Torinese era avvenuto senza alcun preavviso. Nonostante la presenza non trascurabile di immigrati stranieri in paese, pari a circa il 7% degli abitanti, la comparsa improvvisa dei profughi aveva creato una situazione di disagio tra i residenti, sfociata nell’accusa, rivolta agli amministratori comunali, di aver tenuto all’oscuro la cittadinanza sull’arrivo dei migranti. A seguito delle proteste l’Amministrazione aveva indetto un’assemblea pubblica in cui Versoprobo era stato invitato a spiegare alla cittadinanza le dinamiche dell’accoglienza.
Il progetto “Volontariato per richiedenti asilo”
Per affrontare questa situazione venne così avviato un progetto con l’obiettivo di coinvolgere tutti gli attori a livello locale e promuovere l’accettazione della presenza dei migranti ma nello stesso tempo anche la conoscenza reciproca. Fu dunque stipulato un protocollo di intesa tra Comune, Ente gestore del servizio di accoglienza e Parrocchia, garantito dalla prefettura del VCO, finalizzato a promuovere l’integrazione degli ospiti del CAS attraverso prestazioni di lavoro di volontariato a favore della comunità ospitante.
Il progetto dal titolo “Volontariato per richiedenti asilo” era mirato a una serie di interventi solidali che mettessero in relazione le risorse umane, rappresentate dai richiedenti asilo, con i bisogni dell’Amministrazione, attraverso la realizzazione di interventi svolti in collaborazione con il personale comunale e in prevalenza riferiti alla manutenzione degli spazi pubblici: dunque attività che fossero il più possibile visibili alla cittadinanza.
Il progetto era supportato da un gruppo di cittadini, in particolare giovani, attraverso momenti di socialità e l’organizzazione di avvenimenti sportivi per creare ulteriori momenti di prossimità con la comunità locale. A detta degli estensori della ricerca “i risultati del progetto sono stati senz’altro positivi soprattutto per quanto riguarda la gestione del conflitto tra favorevoli all’accoglienza degli stranieri e non”, infatti ad una prima reazione sicuramente contraria di una parte dei residenti si era giunti ad un’accettazione quasi generalizzata della presenza dei giovani migranti.
Tale atteggiamento e un clima favorevole venutosi a creare in paese hanno incoraggiato l’Amministrazione comunale a proporre, all’inizio del 2017, di concerto con altri comuni della Valle, l’apertura in sostituzione del CAS, di uno SPRAR, situato presso la stessa struttura di Vogogna, un vecchio albergo ristrutturato dalla cooperativa per l’accoglienza dei richiedenti asilo.
L’apertura dello SPRAR a Vogogna
Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), ora denominato SIPROIMI è stato istituito dalla Legge 189/2002 ed è costituito dalla rete degli enti locali per la realizzazione di progetti di accoglienza riferiti a migranti in prevalenza titolari di status di rifugiato. Secondo la normativa il periodo di permanenza assistita all’interno di un centro di accoglienza del sistema SPRAR ha durata non superiore a sei mesi, prorogabili ulteriormente, per circostanze eccezionali, fino a un massimo di ulteriori sei mesi.
L’accoglienza presso queste strutture ha l’obiettivo di fornire ai rifugiati strumenti per l’integrazione socioeconomica all’interno delle comunità locali attraverso misure di orientamento e accompagnamento legale e sociale, nonché la costruzione di percorsi individuali di inclusione.
Punto qualificante del progetto SPRAR è rappresentato dalla volontarietà degli enti locali nella partecipazione alla rete di accoglienza e la collaborazione a livello territoriale con i cosiddetti Enti gestori rappresentati da cooperative sociali e soggetti del terzo settore.
La proposta, proveniente dal comune di Vogogna, venne accolta con favore dai comuni vicini di Ornavasso, Premosello Chiovenda e Pieve Vergonte, con i quali fu stipulato un protocollo di intesa, successivamente approvato dai rispettivi Consigli comunali. Il documento prendeva le mosse da alcune considerazioni di carattere normativo e umanitario, in particolare quelle riferite alla Costituzione della Repubblica, che all’articolo 10, comma 3 recita:
“Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
Si teneva conto inoltre della missiva della prefettura del VCO inviata alle Amministrazioni locali, con la quale venivano fornite specifiche indicazioni inerenti le modalità di accoglienza di migranti da parte dei singoli comuni, evidenziando che, in mancanza di un positivo riscontro, la Prefettura stessa avrebbe provveduto alla distribuzione dei migranti sulle base delle indicazioni ministeriali.
Bisogna ricordare che il “Piano Nazionale di ripartizione richiedenti asilo e rifugiati” aveva assegnato ai comuni di Vogogna, Ornavasso, Premosello Chiovenda e Pieve Vergonte un totale di 28 migranti. Il protocollo stipulato dava incarico al Sindaco di Vogogna di presentare domanda per l’attivazione di un progetto SPRAR sul territorio comunale destinato a 28 titolari di protezione internazionale.
Il 29 maggio 2017 il Ministero comunicava l’assegnazione ai quattro comuni consorziati delle risorse del “Fondo Nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo agli Enti locali”, pari ad € 521.220,00, di cui € 26.548,00 di cofinanziamento a carico dei comuni e dell’Ente Gestore.
L’esperienza di accoglienza e integrazione dello SPRAR
Come riferito da Beatrice Gria, assistente sociale responsabile del progetto per conto del Comune di Vogogna e dal suo collega lo psicologo Davide Varalli che coordina il servizio su incarico dell’Ente gestore, è possibile evidenziare i buoni risultati ottenuti nei tre anni di presenza dello SPRAR sul territorio, anche grazie al rapporto di efficace collaborazione venutosi a creare tra Amministrazione ed Ente gestore.
Si sottolinea, infatti, che:
“La gestione del centro prevede, oltre ai contatti quasi quotidiani tra gli operatori comunali e quelli della cooperativa legati in prevalenza alla risoluzione di problematiche contingenti, incontri di collegamento più strutturati fissati mensilmente durante i quali vengono discusse strategie, tempi e modalità degli interventi. Con cadenza trimestrale sono inoltre formalizzate riunioni a livello dei referenti dei quattro comuni consorziati. Il regolare rapporto fra i vari attori dell’accoglienza permette un monitoraggio puntuale della gestione del servizio. Benché le assegnazioni dei rifugiati siano in carico al Servizio centrale SPRAR, grazie alla rete che è venuta a crearsi con i CAS del territorio, spesso si ottiene di inserire all’interno dei percorsi di integrazione promossi dallo SPRAR di Vogogna titolari di protezione che abbiano trascorso il periodo di accoglienza sul territorio dell’Ossola o del Verbano.
Spesso l’inserimento di soggetti provenienti da situazioni ambientali e territoriali diverse rappresenta un ostacolo al cammino di integrazione: si cerca dunque di privilegiare persone che abbiano compiuto, nelle more del riconoscimento, percorsi virtuosi all’interno dei CAS del territorio.
Spiega poi Davide Varalli:
“Il Servizio centrale che si occupa delle assegnazioni dei profughi agli SPRAR si è sempre dimostrato molto attento a questo tipo di esigenze e molto vicino quando si tratta di superare problemi e difficoltà nella gestione ordinaria e straordinaria della struttura: ci sono sempre risposte ai quesiti che gli operatori pongono al servizio”.
I due responsabili affermano inoltre che nella maggior parte dei casi si stabiliscono rapporti di fiducia con i referenti del Servizio Centrale che rispondono puntualmente alle domande sui vari aspetti del percorso di integrazione
“con loro si è venuto a creare un rapporto di fiducia reciproca che permette di risolvere, in modo il più possibile informale, qualsiasi dubbio sulle Linee Guida ministeriali. Importante anche il ruolo dei tutor che a livello territoriale si occupano dell’assistenza e del monitoraggio dei vari SPRAR”.
Il percorso, i punti di forza e le criticità
Passando all’operatività dei percorsi di integrazione gli intervistati hanno illustrato i percorsi che vengono attuati e che partono dalla conoscenza dell’ospite. Quest’ultima avviene attraverso una serie di colloqui conoscitivi durante i quali si cerca di intercettare bisogni, desideri e aspettative e di abbozzare un progetto per raggiungere gli obiettivi individuati insieme. Un lavoro che risulta semplificato quando ci si trova di fronte persone che hanno una conoscenza della comunità e delle sue risorse avendo trascorso il periodo di attesa del riconoscimento dello status sul territorio stesso.
Per quanto riguarda le attività mirate alla realizzazione dei percorsi di integrazione, la cui componente fondamentale è quella riferita al lavoro, sono in atto collaborazioni con gli Enti di formazione che operano sul territorio, in particolare VCO Formazione e Formont, e per quanto riguarda gli inserimenti in tirocinio l’Agenzia per il Lavoro Synergie.
Comunque, a fronte di forti aspettative da parte degli utenti che arrivano allo SPRAR, ci si rende conto che non è possibile avviare percorsi di reale autonomia se non indirizzati a quei soggetti che già arrivano con competenze e capacità di integrazione avanzate.
Per ovviare, almeno in parte, alla criticità rappresentata dalla mancanza di tempo per realizzare progetti a medio o lungo termine è necessario lanciare messaggi educativi che forniscano ai rifugiati gli strumenti di base necessari ad affrontare l’inserimento in una società che il più delle volte si rivela lontana dalla loro cultura di origine.
Si tratta di un lavoro quotidiano fatto di piccole cose, indicazioni semplici: ad esempio su come muoversi nel contesto domestico oppure orientarsi in riferimento ai servizi sociali e sanitari del territorio o ancora come utilizzare i trasporti pubblici. Buona parte dei ragazzi comunque hanno a disposizione la possibilità di essere inseriti in esperienze di tirocinio retribuito, finanziate dal Ministero e gestiti dall’Agenzia per il lavoro, che si svolgono presso aziende del territorio selezionate da quest’ultima.
Spesso, nel passato, i ragazzi dichiaravano di aver svolto vari mestieri nel paese di origine o in Libia e di aver acquisito le relative competenze, ma a fronte di inserimenti fallimentari, a causa della mancanza di capacità effettive a svolgere le mansioni richieste, è stata avviata una collaborazione con le strutture tecniche dei comuni consorziati. I migranti vengono affiancati a operai e tecnici che sono in grado di testare le competenze dichiarate e solo attraverso una conferma di queste, vengono avviate le convenzioni di tirocinio.
Un’altra criticità emersa è stata quella relativa alla tenuta dei ragazzi in contesti che spesso affrontano per la prima volta e che richiedono un impegno gravoso in ordine di tempo e al tema riferito alla puntualità, che spesso non è considerata rilevante negli ambiti culturali da cui provengono. La maggioranza dei percorsi comunque hanno un buon esito.
A fronte di difficoltà oggettive, riferite al limite rappresentato dai tempi di un intervento limitato a sei mesi, che spesso non permettono di impostare un reale percorso di autonomia, il più delle volte viene richiesta al Servizio centrale una proroga che allunghi di ulteriori sei mesi la permanenza dei rifugiati presso lo SPRAR. In presenza di domande motivate, in genere, la risposta da parte del Ministero è positiva come mostra il fatto che attualmente tutti gli ospiti della struttura godono di una proroga semestrale del progetto.
Valutazioni e prospettive
Alla domanda riferita a che cosa servirebbe per migliorare il servizio, gli operatori intervistati hanno concluso che: “Durante il passaggio di consegne, sarebbe necessario un confronto più diretto con i colleghi dei CAS da cui provengono i rifugiati: la conoscenza del percorso svolto precedentemente alla concessione dello status porterebbe infatti ad una definizione più puntuale del PAI dell’ospite. Sarebbe inoltre necessario fornire ai rifugiati informazioni più puntuali sulla realtà degli SPRAR e sul percorso che li attende al loro interno”.
Quella descritta dagli operatori dello SPRAR gestito dai Comuni consorziati di Vogogna, Premosello, Ornavasso e Pieve Vergonte è stata un’esperienza che si è rivelata, pur tra luci e ombre, sostanzialmente positiva. Certamente in questi tre anni di attività, oltre a fornire gli strumenti di base per avviare il percorso di autonomia dei rifugiati, ha raggiunto lo scopo di creare all’interno delle comunità ospiti, in un primo tempo ostili al progetto di accoglienza, un sentimento di accettazione, se non di consenso, per l’iniziativa.
Sicuramente anche le amministrazioni interessate hanno percepito questo cambiamento e hanno deciso di confermare il progetto, in scadenza a giugno 2020, per il triennio 2020-2022ripresentando la domanda di finanziamento al Ministero, approvata durante la seduta della Giunta del Comune di Vogogna dell’8 gennaio 2020. Delibera che in virtù del Protocollo di intesa sottoscritto nell’agosto del 2017, impegna anche le amministrazioni di Ornavasso, Premosello Chiovenda e Pieve Vergonte a proseguire con il progetto.